Immobile e ferma, sono ormai sette secoli e mezzo che la Svizzera resiste, tra guerre di religione e conflitti mondiali, senza mai perdere il suo stato di democrazia. Quali sono state le specificità politiche che hanno permesso a uno degli stati più vecchi del mondo di sopravvivere fino a oggi?
732 anni di Svizzera: come mai?
I primi giorni dell’agosto del 1291 i rappresentanti dei villaggi di Uri, Schwitz e Unterwalden si riunirono per firmare, di fatto separandosi dai domini asburgici, il Foedus Aeternus Confederalis (Patto eterno confederale). 723 anni dopo, il primo di agosto le più alte cariche della Confederazione Elvetica, che si è ingrandita tanto che i cantoni non sono più tre ma ventisei, si ritrovano nello stesso posto, per rinnovare quel patto.
I suoi onorati settantadue decenni di storia rendono la Svizzera uno degli stati più antichi al mondo ancora oggi esistenti e per giunta politicamente molto stabili, ed economicamente molto sicuri. Secondo il “The Economist” si tratta, infatti, di una nazione con un posto praticamente fisso nella Top 10 delle più democratiche al mondo, e si può ben capire il perché. Trattandosi, infatti, dell’unica democrazia diretta attualmente esistente sono ben pochi i poteri che il Parlamento ha la facoltà di esercitare in autonomia, il che spiega perché, anche secondo “Transparency.org” sia la settima nazione su un totale delle 180 prese in considerazione con il tasso più basso di corruzione. Questi fattori, uniti a forme di tutela sociale e programmi di reinserimento lavorativo per gli strati economicamente più fragili della popolazione, hanno contribuito a rendere la Svizzera uno stato la cui grande stabilità sociale e politica è in grado di renderlo un partner tra i più affidabili dell’area. Alla base della capacità di mediazione tra le parti sociali che ha consentito la crescita economica e la nascita di un sistema politico tra i più democratici al mondo vi è la storica propensione alla mediazione. Trattandosi, infatti, di un paese nato dall’unione di piccole comunità montane, stipulato più come “contratto” che come unione politica prevalse la logica che vedeva la necessità degli attori in gioco di tutelare sé stessi da eventuali soprusi. Ciò si tradusse, quindi, in uno slittamento della forma di governo in direzione federale. Per evitare, poi, un accentramento del potere eccessivo in uno dei tre centri. Ciò che ne conseguì fu una gestione prettamente collegiale del potere, tanto che, ancora oggi, il “Presidente della Confederazione Elvetica” non è l’organo monocratico al vertice dell’esecutivo, né il portavoce del governo, ma semplicemente un membro del Consiglio Federale il cui voto, nel caso in cui un ministro si astenga, vale doppio per poter sbloccare lo stallo.
Alla luce del suo equilibrio istituzionale la Svizzera è diventata, dunque, una nazione stabile, che ha saputo, nel tempo, mediare conflitti culturali e religiosi evitando accentramenti di potere in grado di generare figure con tendenze autoritarie. È stato proprio questo sviluppo politico a garantire alla Confederazione una stabilità e un indice di democraticità che ne consentono, dopo 732 anni, l’esistenza ancora oggi.
Foto copertina: VerbanoNews