Il 25 marzo 1957 fu firmato a Roma il Trattato istitutivo della CEE (Comunità Economica Europea) da grandi leader e ottimi consiglieri, seduti alla grande tavolata della prestigiosa Sala degli Orazi e Curiazi a Palazzo dei Conservatori. Fu un passaggio fondamentale, coraggioso e da molti considerato “l’accesso alla nascita” della futura Unione Europea, che di fatto poi si realizzò nel 1992 con la firma del primo pilastro istitutivo della Comunità Europea: il Trattato di Maastricht.
La seconda “colonna” della legislazione europea fu eretta nel 2007 con il Trattato di Lisbona che definì l’attuale funzionamento dell’Unione. 65 anni fa, i rappresentanti dei 6 Governi di Belgio, Francia, Germania Ovest, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi, sottoscrissero fondamentali e lungimiranti provvedimenti. Il più importante riguardava l’eliminazione dei dazi doganali fra gli Stati membri, consentendo di fatto la creazione del cosiddetto “mercato unico europeo” e ponendo le basi per la creazione dell’unità politica. In sessant’anni il profilo dell’Europa è cambiato.
Nel 2020 eravamo in 27, un numero in progressivo aumento anche a seguito delle vicende vicine a casa nostra, prima i Balcani e oggi la guerra in Ucraina. Sir Winston Churchill, ufficiale militare, storico, scrittore e politico britannico, nonostante non fosse presente a quel tavolo negoziale, sostenne lucidamente, da Primo ministro britannico durante la seconda guerra mondiale, l’idea della creazione di un’entità europea.
Sessant’anni anni fa si intravvedeva uno scenario geopolitico pacificatore a cerchi concentrici perfetti, con al centro USA e Paesi anglofoni (Canada e Gran Bretagna) poi Giappone, Corea del Sud e i Paesi con rapporti privilegiati economico-commerciali. Russia e Cina come “osservatori e garanti”. Così è stato. Oggi non è più così. Niente più cerchi concentrici pacificatori e privilegiati, ma si prospettano relazioni unipolari – bilaterali ancora da consolidare e individuati secondo l’interesse contingente e per lo più economico-geografico. Un sistema prevalentemente focalizzato su politiche di potere indirizzato a relazioni ancora in itinere, ma che potremmo tornare a denominare relazioni multilaterali.
Infatti, nonostante le diffuse affermazioni di “sovranità ed egemonia” nazionale praticate da grandi e medie potenze mondiali, il multilateralismo rimane la dimensione obbligata e necessaria nelle relazioni di geopolitica internazionale. Rimane una soluzione ai problemi sovranazionali senza però la retorica fuorviante di ideologie strumentali contraddette da fatti e realtà. Certo, la crisi del multilateralismo precede l’emergenza pandemica da Covid-19, che oggi, a maggior ragione, rende necessaria una costante revisione dell’architettura di governance della geopolitica internazionale soprattutto se intesa come economia e commercio dell’interesse nazionale.
Indubbiamente un bel guazzabuglio. Una sostanziale geopolitica dell’incertezza.
L’asse anglo-statunitense rimarrà inscalfibile anche dopo la Brexit? Parrebbe di si.
E se amici e nemici saranno scelti di volta in volta, questo sarà bene?
Pare delinearsi un nuovo quadro geopolitico asimmetrico dove tre grandi potenze, USA, Russia e Cina proveranno ad organizzare il mondo per conquistarsi autonomamente un ruolo chiave.
I singoli Paesi europei contratteranno singolarmente di volta in volta con i tre colossi mondiali? L’Europa divisa e non unita, sarà sostituita dal “sovranismo” di metà ottocento quando si affermarono le singole “sovranità nazionali”?