I briganti hanno un loro fascino, si sa. Forse per questo motivo ne è piena l’Italia. Il Gigante Gasbarrone non è da meno.
Il brigantaggio è sempre stato un elemento affascinante nella storia del nostro Paese, e uno dei suoi personaggi più celebri è tale Antonio Gasbarrone. La sua storia è costellata di peripezie, intrighi e colpi di scena.
Non me ne vogliano però tutti gli altri briganti, soprattutto quelli contemporanei. Siete troppi, troppo scaltri e poco romantici. Non meritate stampa ma solo patria galera. Rimanete pure nei vostri nascondigli, celatevi dietro partiti e partitini, e lasciate la gloria ancorché vana ad altri. A voi solo la cronaca, giudiziaria si spera.
Torniamo a Gasbarrone. Il suo nome vero era più banale, Giovanni Rossi. Il nostro nasce nel 1805 (forse) in un piccolo borgo di montagna del meridione. La sua propensione per la vita movimentata si manifesta subito, in prima giovinezza. Come peraltro una certa forma di idiosincrasia per le Forze dell’ordine. All’inizio sono furti di vettovaglie e oggetti vari, più per il proprio sostentamento che per desiderio di denaro. La sua carriera criminale inizia così, modestamente. Poi la svolta. Una crescita professionale potremmo dire. Diventò parte di un gruppo, forse meglio dire una banda, di briganti locali.
Gasbarrone il talento lo possiede ed è pure audace. Conquista progressivamente notorietà per le sue imprese che spesso lo vedono dileggiare le Forze dell’ordine con fughe rocambolesche da tentativi reiterati di arresto. Diventa presto anche un personaggio tra la gente più umile e oppressa, un ribelle invocato da molti. Condividono questa epopea altri briganti a loro modo diventati egualmente noti. Parliamo di “Il Terribile” e la “Vipera”. Gasbarrone e i suoi compagni si dimostrano abili uomini di marketing, al pari di qualche nota e spregiudicata influencer moderna. Ogni tanto, furbescamente, distribuiscono parte del bottino tra i poveri ottenendo in cambio da essi quello che oggi chiameremmo” concorso esterno in associazione mafiosa”, “favoreggiamento” e certamente omertà.
Come sempre accade cronaca e leggenda, per chi conquista notorietà, spesso si mischiano. E così anche per Gasbarrone. Si narra di incursioni rocambolesche compiute in palazzi presidiati in gran forze dagli sbirri e, nonostante ciò, rapine ben riuscite. Il popolo è sempre indulgente con chi crede lo rappresenti e quindi al brigante Gasbarrone attribuisce ogni qualità, astuzia, forza sovraumana, vista eccezionale, capacità di camuffarsi e naturalmente una generosità grandissima
Gasbarrone è certo una figura importante, un rappresentante di primo piano del brigantaggio che imperversa nell’Italia meridionale del secolo XIX, ma, nonostante ciò, le fonti storiche su di lui sono scarse, frammentarie e spesso palesemente romanzate. E infatti scarse e poco certe sono le informazioni circa la sua morte. Pare sia stato colpito a morte durante un’imboscata tesa alla sua banda vicino ad Abbiategrasso, nel 1834. Quello che è certo è l’eco che ha la sua morte. La stampa gli dedica ampio spazio e il popolo immortala lui e le sue gesta in canzoni e ballate e racconti che il folklore fa subito proprie. È così che un poveraccio, ignorante, senza futuro ribalta la sua storia personale sino a diventare mito.
Un’altra storia, meno romantica, parla di negoziati con il potere pontificio, di una resa patteggiata che lo vede finire in carcere con altri esponenti della banda. Dalla galera ne esce vecchio e malconcio. Finisce a Trastevere, in via del Moro. Narra ancora questa storia di un tentativo di tornare a Sonnino che fallisce e infine di un ricovero presso la casa Pia Casa degli Incurabili di Abbiategrasso, insieme a Pietro Cipolla un altro superstite della sua banda. Da qui non esce più vivo.
Gasbarrone comunque incredibilmente riesce, anche dopo la sua morte, a far parlare di sé. Pare che i suoi resti mortali siano stati trafugati e segretamente inviati a Cesare Lombroso, il famoso criminologo, che se ne voleva servire per i suoi studi di fisiognomica. Tutto rimane tranquillo sino al 2010 quando il Comune di Sonnino (LT) intraprende una battaglia morale e legale per riavere le spoglie e gli oggetti appartenuti a quel che ritiene un proprio storico antenato. Vuole garantire a Gasbarrone degna sepoltura nei suoi confini. Sostiene infatti che Cesare Lombroso si sia appropriato illegalmente delle spoglie di Gasbarrone subito dopo la sua morte per poi inviarle all’Università degli Studi di Torino. Questa, alla morte del Lombroso, trasferisce i reperti al Museo di criminologia a lui intitolato dove tuttora sono esposti. Il Comune di Sonnino cita in giudizio l’Università di Torino e il Museo, vince in primo grado ma perde sia in appello sia in Cassazione (2017). Ora rimane solo il ricorso all’Alta Corte di Giustizia a Strasburgo.
Ma che storia la tua caro Gasbarrone!
Fonti: www.mondoreale.it, www.nolombroso.org, www.wikipedia.it
Foto copertina: Wikipedia: Antonio Gasbarrone; Bartolomeo Pinelli,
Ritratto del brigante Gasbarrone. Ariccia, Palazzo Chigi