Intervista esclusiva
Il personaggio
Angela Di Gregorio. Democrazie partecipative, illiberali, nuovi autoritarismi e i paesi dell’Europa centro-orientale.
Angela Di Gregorio è professore ordinario di Diritto Pubblico Comparato all’Università degli Studi di Milano.
All’interno di questa vasta materia si occupa di diversi temi, si di attualità che generali.
Grazie in particolare alla conoscenza delle lingue slave si è occupata dei Paesi dell’Europa centro-orientale, a partire dal crollo dei regimi comunisti fino al loro ingresso nell’Unione Europea ed oltre.
In questa area, ad esempio, ha analizzato le recenti crisi di autoritarismo in Russia e la guerra russo-ucraina.
Fra gli altri, si occupa della libertà accademica, delle epurazioni post autoritarie e quindi della rimozione della classe dirigente durante e dopo i regimi totalitari (post fascismo, post comunismo)
Tra i temi di recente interesse, vi è quella della democrazia partecipative e deliberativa.
Professoressa, iniziamo proprio da qui.
Paesi autoritari post fascisti e post comunisti. Le epurazioni della popolazione in generale e della classe dirigente poco “libera di potersi esprimere”. E tutto questo fa il paio con il concetto di democrazia, poco partecipativa.
“Quello della democrazia partecipativa non è solo un tema da evidenziare nei casi di populismo e dei rimedi per contrastarne la diffusione.
È un tema di interesse mondiale.
A questo proposito l’anno scorso, insieme ad altre colleghe e colleghi, abbiamo vinto un bando del Ministero dell’Università, i così detti bandi PRIN in parte finanziati con i soldi del PNRR.
Io sono il Principal Investigator di questo progetto che riunisce quattro Università: Milano, Roma (La Sapienza), Trieste e Napoli (Vanvitelli).
Il tema è proprio quello della “Democrazia partecipativa e deliberativa”, cioè tutti quegli strumenti attraverso i quali i cittadini, al di fuori del circuito elettorale, vengono coinvolti dalle autorità, soprattutto a livello locale o regionale, per fornire il loro apporto di conoscenza e consulenza per l’adozione delle decisioni”.
Cittadini sempre più distanti dall’essere coinvolti…
“Sì, quello della “Democrazia partecipativa” è un criterio per avvicinare i cittadini all’apparato decisionale, sia amministrativo o politico. Al di fuori, però, delle etichette di partito.
Quindi sono strumenti molto innovativi e interessanti”.
Ad esempio…
“Milano. In città è stata creata l’Assemblea permanente per il clima che ogni anno sorteggia circa novanta cittadini appartenenti a diverse età, estrazione sociale, livelli di istruzione e residenza in modo che si abbia una stratificazione molto precisa. Si chiede il loro parere su una serie di questioni che riguardano per esempio il traffico, l’ambiente, il riscaldamento, lo smaltimento dei rifiuti, ed altri argomenti che riguardano i cittadini…”
Ritornando a parlare di democrazia.
Quali sono le cause della bassa affluenza elettorale?
“E sta diventando un problema…
Ed è proprio qui che la Democrazia partecipativa è utile, anzi indispensabile. Questo è uno strumento che propone “forme di aggregazione” per accorciare la distanza tra i cittadini e la politica.
Oggi ormai il tasso di astensionismo elettorale supera il tasso di partecipazione. E questo è grave.
È un fattore che va contro la democrazia perché significa che i cittadini non si fidano più della classe politica e, di fatto, delegano senza partecipare le decisioni ad altri”.
Perché si è creato tutto questo? Non è tema di oggi, è un malessere che viene da lontano…
“Il malessere della democrazia è qualcosa che viene da lontano, se ne parla da venti, trent’anni, quindi non è arrivato qui ora e adesso.
È un malessere per lo più dovuto al fatto che, per esempio, almeno in Italia, il cittadino non ha la possibilità realmente di selezionare i propri rappresentanti.
Forse la scelta dei propri rappresentanti avviene un po’ di più a livello locale. È maggiormente possibile scegliere ad esempio i rappresentanti del proprio Comune…”
Quali sono le cause che lei individua rispetto alla mancata partecipazione dei cittadini al voto?
“Vi sono diverse cause, ma tra le più rilevanti in Italia forse si pone il tipo di legislazione elettorale esistente.
Il fatto che ci siano le liste bloccate a livello nazionale e quindi non si possa esprimere una preferenza.
Il cittadino non si esprime nella scelta del candidato che siederà in Parlamento.
Inoltre, altro elemento di lontananza dei cittadini dai politici è rappresentato dal fatto che non ci siano le sempre primarie di partito”.
Qualcuno in verità ci ha provato…
“Sì, ci ha tentato qualche volta il centro-sinistra, ma non sempre con grossi risultati.
E anche questa ulteriore mancanza di possibilità di scelta fa sì che ci sia un forte senso di estraneità.
Distacco ulteriormente potenziato dai fenomeni di corruzione, dai conflitti di interesse e dal non vedere trasparenza e onestà nell’agire politico. Come sappiamo ciò ha generato dei fenomeni, come per esempio quello del populismo, il Movimento 5 stelle per me è un classico fenomeno populista. Ma anche qui… Nemmeno quel fenomeno è riuscito ad arginare questa separazione tra il cittadino elettore e gli eletti, per cui si ipotizzano altri strumenti. La partecipazione attraverso queste assemblee di Democrazia partecipativa e deliberativa può essere uno di questi strumenti”.
Questa disaffezione alla partecipazione riscontrata a livello nazionale si potrebbe riproporre alle elezioni europee del prossimo 8 e 9 giugno?
“Certamente la disaffezione vale per tutti i livelli di partecipazione.
Forse, come detto, è un po’ meno presente a livello locale perché il cittadino nel suo Comune è più interessato. Conosce di più e meglio i politici locali. Ma finisce lì.
Più andiamo in alto e meno i politici candidati sono conosciuti. Proprio quelli che li rappresenteranno.
Soprattutto l’Europa viene percepita, a sua volta, come un meccanismo burocratico distante dai reali bisogni dei cittadini. È spesso avvertita come quell’organismo che impone delle regole restrittive.
Pensiamo all’efficientamento degli immobili. È un tema che fa preoccupare il cittadino medio e dove tutti sono uno contro l’altro…”.
E dove il sistema elettorale proporzionale per le elezioni europee accentua la competizione del tutti contro tutti, la conquista del singolo voto…
“I sistemi elettorali nazionali per le elezioni europee infatti premiano i partiti piccoli perché c’è un sistema di tipo proporzionale. E questo è un elemento opportuno, da considerare.
In Europa ci sono diversi sistemi elettorali e quindi tutti sono l’uno contro l’altro.
Ognuno in campagna elettorale deve conquistare il suo piccolo orticello.
Nelle elezioni politiche per il rinnovo del Parlamento in Italia c’è il premio di maggioranza e di solito vince la coalizione.
In Europa ognuno “combatte” per il proprio partito.
Anche questo distingue un po’ il livello elettorale europeo dal livello elettorale nazionale”.
Esistono strumenti partecipativi europei che provano ad arginare la disaffezione al voto?
“L’Unione Europea ha ipotizzato alcuni congegni partecipativi come la “Conferenza sul futuro dell’Europa” che si è svolta nel 2022. Era una mega consultazione pubblica con vari tavoli in ogni Paese. A questi tavoli partecipavano addirittura i giovani minori di diciotto anni, chiamati a dire come vedevano il futuro dell’Europa.
Certo, passare dai risultati di queste consultazioni alle effettive politiche europee è estremamente difficile. Inoltre il nuovo Parlamento dovrà esprimere una nuova Commissione Europea (non eletta direttamente dai cittadini NdR), un nuovo Capo della Commissione (non eletto dai cittadini NdR)”.
Tornando ai concetti di democrazia.
Cosa si immagina quando si parla di democrazie illiberali? Quali sono, se si possono identificare…
“I miei colleghi giuristi e costituzionalisti inorridiscono quando si usa questo termine”Democrazia illiberale” perché per loro la democrazia o è liberale o non è.
Ma in realtà, basta guardare all’etimologia della parola “democrazia” che nei secoli ha significato di tutto e di più.
Lo stesso Mussolini parlava di democrazia autoritaria, i comunisti dicevano democrazia popolare per indicare gli stati satelliti.
Quindi il termine democrazia nei secoli ha vissuto varie fasi e diverse declinazioni.
Per democrazia illiberale oggi ci si riferisce forse ad un solo Paese dell’Unione Europea: l’Ungheria.
A fianco dell’Ungheria c’era stata la Polonia dove per otto anni ha governato il PiS *.
Questo partito conservatore liberale è stato sconfitto nelle ultime elezioni di ottobre 2023, per cui al momento rimane salda l’Ungheria come democrazia illiberale”.
Approfondiamo il concetto di democrazia illiberale.
Perché si chiama così?
“La chiamiamo democrazia illiberale e non democrazia fragile o semi democrazia, perché, per esempio l’Ucraina non è neanche una democrazia piena e non è un autoritarismo.
Viktor Orban, Primo Ministro ungherese, l’ideologo di questa teoria è stato lui stesso a coniare questo termine dicendo: “Noi vogliamo una democrazia, ma non secondo i valori liberali. I valori liberali sono quelli dell’800, in cui ci dominavano le oligarchie e i vertici di partito. Per noi la libertà individuale è più importante della libertà collettiva”.
Lui è come se volesse un po’ mediare tra le libertà pubbliche e quelle private. Il problema è che predica bene ma razzola male perché poi i suoi interessi privati fanno sì che abbia creato una cricca di suoi fedelissimi con conflitti di interesse enormi tra pubblico e privato. Quindi, quello che manca non è solo il pluralismo. È il proprio il merito e il bene pubblico che non vengono perseguiti”.
Democrazie illiberali, nazionalismi e globalizzazione…
“Fa parte del concetto di democrazia illiberale questa chiusura sovranista alle ingerenze che vengono dall’esterno, ai dictat europei, come vengono definiti.
In particolar modo, per esempio, ci si rivolge alle quote migranti che assolutamente gli ungheresi non vogliono accogliere, ma questa è una cosa che accomuna l’Ungheria ad altri paesi. Non da ultimo l’Italia con il governo di centro-destra.
C’è quindi una visione della fortezza e dell’interesse nazionale, salvo poi avere una certa miopia perché non si capisce come, in un mondo globalizzato, l’interesse nazionale possa essere perseguito solo insieme all’interesse europeo. L’interesse coalizzato con altri paesi.
Riguardo all‘Ungheria. È un paese di dieci milioni di abitanti di cui cinque vivono all’estero e nei Paesi confinanti. E questo è uno dei motivi per cui storicamente l’Ungheria ha questo nazionalismo molto accentuato. Ha perso cinque milioni di persone e due terzi del suo territorio imperiale e quindi ha un atteggiamento nazionalista.
Sappiamo inoltre che il nazionalismo è sempre poi il padre o la madre dell’autoritarismo.
È sempre stato così nella storia”.
Torniamo all’inizio. Alla sua ulteriore specializzazione accademica: i Paesi dell’Europa centro orientale.
Come vede lei il conflitto Ucraina-Russia dal punto di vista della Diplomazia internazionale?
“Direi che la diplomazia non ha fatto il suo mestiere.
Come ormai tutti sanno questa è una guerra un po’ per procura.
La Russia ha cercato di dimostrare che esisteva ancora nonostante il crollo del regime sovietico. Voleva provare che era viva e vegeta. Che aveva ancora una sua grandezza.
Con questa “logica” il regime è riuscito a consolidarsi grazie alla guerra.
Il regime al proprio interno è diventato ancora più repressivo e probabilmente, se temeva di vacillare prima della guerra, ora non è così.
Le guerre da sempre servono per rafforzarsi anche all’interno.
La guerra è una carta da spendere anche nella politica interna non solo nella politica internazionale”.
A livello internazionale i russi hanno fatto un grande azzardo…
“All’inizio hanno fatto una brutta figura. Poi, dopo, con il passare del tempo si sono rafforzati, grazie all’apporto di altre potenze.
Nessuno è solo in questa guerra.
Questa guerra rappresenta una grande coalizione da una parte e dall’altra”.
Questa guerra è una lotta fra la democrazia ucraina e l’autocrazia russa?
“Secondo me è sbagliato considerare questa guerra una lotta tra democrazie e autocrazie perché dobbiamo sempre vedere le sfumature. Dobbiamo cercare di non isolare le “parti in causa”, per esempio, gli intellettuali.
Cosa sbagliatissima per queste guerre. E questo vale sia per Israele che per la Russia.
A questo proposito sono stati congelati molti scambi universitari. Ritengo questo un grande errore”.
Chi perde e chi vince?
“L’Ucraina avrà una distruzione significativa del proprio patrimonio umano, territoriale e di risorse, però probabilmente alla lunga vincerà dal punto di vista delle alleanze internazionali facendo stabilmente parte del fronte occidentale.
La Russia sarà sempre più lontana, sia dall’Europa e sia dall’Occidente.
Sarà sempre più, come sappiamo, vassalla di potenze orientali.
Alla lunga neanche la Russia vincerà, e se invece così sarà, si tratterà di una vittoria di Pirro.
Nei fatti oggi mi sembra che i maggiori riscontri li abbia la Russia, purtroppo”.
In conclusione. Obiettivi accademici futuri, progetti futuri?
“Per adesso ci concentriamo sulle attività di questo progetto che abbiamo vinto e di cui parlavamo all’inizio.
Un bando importante finanziato dal Ministero dell’Università sulla “Democrazia partecipativa”. Questo ci terrà impegnati fino alla fine del 2025.
In parallelo c’è la nostra rivista accademica di primo livello che ha ottenuto la fascia A.
Il massimo per la nostra classificazione ministeriale”.
Che si chiama…
“Si chiama “Nuovi autoritarismi e democrazie“.
Gestirla è un’attività impegnativa.
La rivista si sta rafforzando sempre di più. Sia nel settore giuridico e sia nel settore storico politologico. Quindi è una rivista multidisciplinare. Noi speriamo di portare avanti questo lavoro sempre al meglio e sempre crescendo”.
Ne siamo certi. Grazie Professoressa Di Gregorio per il tempo e le attuali considerazioni di merito. Buon lavoro!
*Diritto e Giustizia (in polacco Prawo i Sprawiedliwość – PiS) è un partito politico polacco di estrema destra di ispirazione conservatrice clericale, nazionalista e illiberale. (Wikipedia)