Strutture di guerriglia
Effetto della decentralizzazione del potere su una forza di opposizione paramilitare
Ci si pone, dopo la morte dell’attuale leader di Hamas, una domanda: è, adesso, possibile porre la parola “fine” a questa guerra?
La risposta, al momento, è tutt’altro che certa: cerchiamo di capire perché.
La morte di Sinwar
La morte di Sinwar avvenuta nella Striscia di Gaza lascia il mondo col fiato sospeso: potrebbe essere, secondo taluni osservatori internazionali, persino l’ultimo atto di una guerra che infuria nell’area dal 7 di ottobre del 2023.
Nelle intenzioni israeliane, l’eliminazione del HVT (High Value Target-Bersaglio ad Alto Valore) dovrebbe avere la funzione di “decapitare” la struttura dell’organizzazione, lasciandola in balia di sé stessa e portandola con la forza al tavolo delle trattative.
La vera mente
Tuttavia, la morte di Yahya Sinwar, secondo molti la vera “mente” dietro agli attacchi del 7 ottobre, e le sue conseguenze aprono la strada a un dilemma strategico, per certi versi vecchio quanto la guerra stessa.
La domanda può essere, in breve “La morte di Sinwar piegherà Hamas oppure no?”.
Senza andare nel merito della questione, è possibile pensare di riflettere con più attenzione sulle implicazioni del quesito.
Infatti, che ci si ponga quest’interrogativo è di per sé indice del fatto che l’eliminazione del leader di una fazione (la “decapitazione”) non è per forza sinonimo di vittoria.
Il tavolo delle trattative
Infatti, riuscire nell’eliminazione di un comandante nemico, può certamente privare una forza di opposizione di una guida, generando uno scompenso il cui effetto potrebbe essere il sedersi a un tavolo delle trattative.
La paura di essere colpiti, la mancanza di leader carismatici che, banalmente, ricordino “perché” si combatte, la necessità di ripristinare la propria catena di comando, sono tutte necessità contingenti che sembrano spingere in quella direzione.
Tuttavia, Hamas non è (solo) una creatura sotto il controllo di Yahya Sinwar, e che essa sia destinata necessariamente a morire con lui è in realtà una congettura.
Assi nella manica dei guerriglieri irregolari
Così com’è stato duramente insegnato agli occidentali nel ventennio afghano, infatti, molte formazioni di guerriglieri irregolari, oltre a trarre vantaggio dalla loro conoscenza del territorio e facilità di spostamento, hanno altri assi nella manica.
Uno di questi è in una catena di comando che, se non “piatta”, si potrebbe definire “minima”: la mancanza di mezzi e spesso di preparazione militare li spingono ad agire, cioè, in piccoli gruppi.
Tali unità, definite spesso “cellule” sono preparate ad agire in modo relativamente indipendente dal vertice, riducendo di molto la “distanza” tra chi da ordini e chi li esegue.
Strutture di guerriglia
Pertanto, anche laddove il “centro” (in questo caso gli alti ufficiali delle varie milizie, che stanno cadendo l’uno dopo l’altro) venga attaccato, restano comunque tante piccole “periferie” in grado di operare autonomamente.
Da un punto di vista tattico, pertanto, quando si ipotizza l’effetto di una “decapitazione”, è importante tenere conto del fatto che essa avrà effetti tanto meno tangibili quanto più il potere è diffuso, invece che essere centralizzato nelle mani di pochi uomini abituati a decidere tutto.
Per questo gli effetti di un attacco ai vertici, spesso, non generano scompenso e hanno, alle volte, un effetto deleterio sulla volontà del nemico di arrendersi, con effetti non totalmente prevedibili sull’esito del conflitto.