Esistono parole che attraversano l’arco temporale, scandendo i secoli e accompagnandoci con la semplice irrinunciabilità della loro esistenza, persino in quelle che apparentemente si presentano limpide: come il carnevale.
Questo periodo specifico nella tradizione cattolica indica il lasso di tempo che precede la Quaresima (ovvero il quarantesimo giorno prima della Pasqua). Alcuni sostengono che inizi addirittura il giorno di Santo Stefano, subito dopo Natale, congiungendo così le due principali festività cristiane. Altri invece lo collocano dopo l’Epifania. C’è perfino chi designa il 17 gennaio come punto di partenza. Non esiste un accordo unanime nemmeno riguardo alla conclusione di questo periodo, rappresentato dal “martedì grasso” che precede il “mercoledì delle ceneri”, che segna l’inizio della Quaresima.
I milanesi, come al solito, hanno un’opinione differente. Infatti Il rito ambrosiano, per tradizione si presume risalga addirittura a Sant’Ambrogio, sposta in avanti le date delle celebrazioni. Secondo tale rito, infatti, la Quaresima non inizia il mercoledì delle Ceneri, bensì la domenica successiva. Di conseguenza, i festeggiamenti del carnevale non terminano il Martedì Grasso, bensì il sabato successivo, noto appunto come “sabato grasso”. Esistono diverse spiegazioni, molte delle quali prive di prove concrete, per giustificare questo slittamento: la più convincente sembra essere legata alla modifica del calendario gregoriano, che avrebbe causato uno spostamento difficilmente gestibile in maniera uniforme in tutte le regioni. La più divertente attribuisce a Sant’Ambrogio stesso un appello ai milanesi affinché lo aspettassero prima di festeggiare, poiché si trovava fuori città.
La spiegazione più tipicamente milanese sembra essere relativa all’ipotesi che tutti i carnevali terminassero con il sabato grasso, il che avrebbe sconvolto il conteggio dei giorni fino al mercoledì delle ceneri: anticipando il martedì grasso, infatti, i giorni di digiuno diventano esattamente 40, dalla fine del carnevale alla domenica di Pasqua. Quindi, non sarebbe il rito ambrosiano a spostare in avanti il periodo del carnevale, ma tutti gli altri ad averlo anticipato.
C’è un legame stretto con il cibo. Se il digiuno è una delle caratteristiche della Quaresima, l’eccesso, anche in termini gastronomici, è l’emblema del carnevale. Si comincia dalla parola stessa, che deriva dalla locuzione latina “carnem levare”, ovvero, letteralmente, “privare della carne”, che si riferiva al banchetto tradizionalmente tenuto l’ultimo giorno prima dell’inizio della Quaresima, appunto il “martedì grasso”! Ma l’intero periodo è un’occasione per gustare dolci tipici, come le chiacchiere (o frappe o bugie, a seconda della regione), le frittelle o castagnole e tutte le altre golosità che compaiono sempre prima nelle pasticcerie.
Le nostre antiche radici pagane risplendono ancora nel tessuto delle festività e delle tradizioni cattoliche, e il Carnevale, con la sua risonante eredità, non fa eccezione. Numerosi riscontri rimandano agli antichi riti dell’Antico Egitto, dove periodi di festa in onore della dea Iside vedevano la presenza di gruppi mascherati; consuetudine affine a quelle delle celebrazioni dedicate al dio Dioniso in Grecia e ai “saturnali” romani. Questi eventi, oltre alla pratica del travestimento, condivisero il comune intento di un temporaneo “rovesciamento dell’ordine precostituito”, che si traduceva nell’abitudine agli scherzi e persino alla dissolutezza.
Nell’ecosistema sociale umano, le regole di comportamento e di abbigliamento si ergono come bastioni forti, decisi e inesorabili (indipendentemente dall’era storica, ciascuna epoca dispone delle proprie leggi). È proprio per questo motivo che diventa vitale un momento determinato e breve in cui tali normative possono essere transitate impunemente. Da un lato, la continenza alimentare si contrappone all’eccesso smodato; dall’altro, la castità trova riscontro nell’esuberanza sessuale. Il travestimento nasce appunto per agevolare questo gioco di equilibri.
In ogni angolo del globo, si celebrano festività carnevalesche famose per i propri rituali unici. Dal Carnevale di Rio de Janeiro, con la sontuosa sfilata delle scuole di samba, alle “battaglie dei fiori” del Carnevale di Nizza, fino al Carnevale di Notting Hill a Londra, le cui radici affondano nelle comunità immigrate dei Caraibi, in particolare quelle di Trinidad. In Italia, i festeggiamenti sono molteplici e risalgono nei secoli: Viareggio, Cento, Satriano, Acireale, Fano, Putignano, Verona, Striano, solo per citarne alcuni, vantano rassegne carnevalesche tradizionali, considerate fra le più prestigiose del mondo, ognuna con i propri rituali peculiari ed inimitabili. Il Carnevale di Venezia, il cui primo documento risale al 1094, fa menzione di uno “spettacolo pubblico” pre-quaresimale per le vie della città, formalmente istituito dal Doge nel 1296.
A Ivrea, invece, il carnevale è celebrato dal 1808 e si distingue per la straordinaria “Battaglia delle Arance”, che coinvolge 9 squadre rappresentanti le varie “contrade” della città. A Viareggio, l’inconfondibile sfilata dei carri allegorici in cartapesta risale al 1873, quando alcuni facoltosi borghesi si mascherarono per protestare contro le eccessive tassazioni.
Ogni festa regionale ha elevato la propria maschera a simbolo identitario. Arlecchino, con i suoi colori sgargianti, erede dello Zanni, sciocco bergamasco, e dei diavoli delle commedie. Pulcinella, un altro servo chiacchierone e indeciso figlio della commedia napoletana. Pantalone, il veneziano in età avanzata sempre alle prese con le proprie finanze e le tentazioni amorose. Balanzone, il dottore universitario bolognese più arrogante che sapiente. Meneghino, il servo milanese, in coppia con la moglie Cecca. E così via, fino al più recente Burlamacco (un mix tra il vestito di Arlecchino e il nome a metà tra la burla e Buffalmacco, personaggio di Boccaccio), creato nel 1930 dal pittore futurista e grafico viareggino Uberto Bonetti, insieme alla sua compagna Ondina (una giovane bagnante tipica dell’epoca) per il manifesto del carnevale di Viareggio del 1931.
Le manifestazioni carnevalesche sono un tripudio di scherzi, giochi, bizzarrie e travestimenti. Un turbine di allegria le pervade e è proprio questo movimento incessante che ritroviamo nella radice stessa della parola. L’allegria non è mera contentezza, che può essere quantificata, né ilarità, che può assumere connotazioni taglienti, né gioia, che può addirittura commuovere, né felicità, che è tanto rara quanto preziosa. L’allegria (dal latino “alacer” , vivace, spigliato) si manifesta sempre chiaramente, si fa notare, può essere contagiosa e persino molto sregolata e sguaiata. Insomma anche quest’anno siamo autorizzati a divertirci, tanto… “A carnevale ogni scherzo vale”.