La questione concernente il dirottamento della nave da crociera Achille Lauro, nell’ottobre del 1985, è stata alla base di un grandissimo contenzioso internazionale tra USA e Italia.
Il caso coinvolse al tempo un comando di quattro membri del Fronte per la Liberazione della Palestina. L’organizzazione che si proponeva di porre fine alla presenza israeliana nell’area del Medio Oriente utilizzando metodi prettamente terroristici.
La natura del gruppo ci aiuta a comprendere la scelta del bersaglio: una nave da crociera si tratta di un ambiente relativamente isolato, perché abbastanza lontano da escludere ogni forma di aiuto immediato.
Tuttavia, nel caso di organizzazioni simili, al di là della (relativa) facilità di colpire, è importante anche considerare il fattore “esposizione”. Infatti, Treccani definisce “Terrorismo” come: “l’uso di violenza illegittima, finalizzata a incutere terrore […]”.
Da ciò ne discende che una simile azione debba, necessariamente, evitare di passare “sotto traccia”, cioè non rimanere radicata nella memoria e nell’attenzione collettiva. Da ciò il termine esposizione, che qui indica la capacità di un attentato di suscitare coinvolgimento psicologico ed emotivo da parte dei membri del gruppo che si vuole colpire.
La scelta di dirottare una nave da crociera era, pertanto, favorita perché richiedeva un uso relativamente basso di risorse, di fronte a un risultato potenzialmente molto esposto nella pubblica opinione.
Nella fattispecie, le risorse utilizzate furono quattro uomini che, imbarcatisi a Genova, presero in ostaggio la nave con quattro fucili d’assalto di origine orientale. La richiesta che venne fatta al comandante fu di approdare al porto siriano di Tartus che, dopo un’iniziale accordo, rifiutò su pressione degli Stati Uniti.
Nel frattempo, l’Italia, che aveva giurisdizione sui reati essendo l’Achille Lauro una nave italiana, iniziò a mettersi in contatto coi sequestratori tramite mediatori egiziani, preparando un’azione militare mirata dalla base di Akrotiri, a Cipro.
Quest’ultima si rivelò, tuttavia, non necessaria in quanto i sequestratori accettarono la resa grazie alla mediazione egiziana e di Yasser Arafat, all’epoca leader dell’OLP, Organizzazione per la Liberazione della Palestina, più moderata rispetto al FLP.
Queste premesse portarono all’arresto dei sequestratori da parte di agenti del governo italiano in acque egiziane e alla consegna della nave in cambio dell’immunità diplomatica.
Tuttavia, si scoprì poi che l’azione si era lasciata un morto alle spalle: il cittadino statunitense Leon Klinghoffer, il che causò l’ira di Washington che pretendeva di processare gli attentatori malgrado la contrarietà italiana.
Lo scontro tra i due governi, USA e Italia, portò a un contenzioso internazionale la cui tensione rischiò di esplodere in un confronto diretto tra i battaglioni di Carabinieri di stanza all’aeroporto di Sigonella (dove gli uomini erano detenuti) e i militari della Delta Force, il commando di forze speciali dell’Esercito degli Stati Uniti sopraggiunti con l’ordine di prelevare gli attentatori.