Cent’anni fa affondava il Titanic: cos’è successo? Perché? Che cosa possiamo imparare?
La “White star line” diede, nel 1912, il varo a una nave come mai se n’erano viste prima di allora: enorme (titanica, per l’appunto), dotata di un’innovativa tecnologia basata su uno scafo di nuova progettazione. Suddividendolo in scompartimenti stagni, l’ingegnere progettista voleva far sì che, in caso di falla, l’imbarcazione potesse contenere l’ingresso dell’acqua e consentire di proseguire la navigazione. Proprio per questo, il viaggio inaugurale da Southampton venne pubblicizzato come quello della prima nave “inaffondabile” nella storia dell’umanità. Parole che, col senno di poi, si riveleranno tristemente profetiche perché a condurre quelle persone sul fondo del mare non fu banalmente l’urto contro un’enorme massa di ghiaccio, ma l’insieme di concause che portarono al verificarsi di una situazione simile.
La nave non doveva percorrere quella rotta proprio a causa della presenza, conclamata, di enormi banchine di ghiaccio galleggianti, che avevano falciato più di una delle imbarcazioni che si erano spinte tanto a nord in quelle acque.Ciò che portò Icaro a osare tanto vicino al sole, e a sciogliere le sue ali di cera, fu proprio la smania del comandante, Edward Smith, ufficiale della Marina Mercantile britannica, riservista della Royal Navy ai tempi della Seconda Guerra Anglo-boera. Prossimo alla pensione, in cerca di un successo che potesse inciderne il nome sulla pietra della storia globale della navigazione. Per lui, governare (le navi, dovete sapere, non si “guidano”, ma si “governano”) una delle navi più grandi del tempo non era abbastanza, e desiderava sorprendere la concorrenza e il pubblico facendo sapere a tutti quanto fosse impressionante la velocità di quella creatura, e quanto fosse efficiente il suo equipaggio.
Desiderava arrivare al porto d’approdo in anticipo e, oltre a caricare i motori al massimo, percorrere quella rotta era il modo migliore per riuscirci. Lo scafo a scompartimenti li avrebbe protetti dai ghiacci, e i motori così potenti avrebbero ridotto ulteriormente il tempo di percorrenza e il conseguente rischio.
Il gigantesco blocco di ghiaccio contro il quale la nave si schiantò aprì, tuttavia, una falla nello scafo la cui entità fu tale da allagare sei scompartimenti. La nave era in grado di viaggiare con tre camere allagate al massimo, ragion per cui la collisione rappresentò la morte della velleità umana di creare imbarcazioni impossibili da affondare.
La disorganizzazione di protocolli di evacuazione mal approntati e il numero di scialuppe di salvataggio fece il resto in quella che, secondo molti, è il peggior naufragio del XX secolo.
Ad oggi, il naufragio dell’HMS Titanic si erge quasi a monito dell’arroganza di chi cerca di sfidare l’oceano: sono in pochi, pochissimi ad avere l’abilità e la tenacia necessaria per tentare imprese così pericolose. E quei pochi, di solito, hanno anche l’umiltà e l’esperienza necessarie a decidere di non farlo.
Foto copertina: Edward John Smith: comandante dell’HMS Titanic