Ancora alluvioni
Le immagini dell’alluvione di Valencia ci lasciano sgomenti e ci richiamano alla mente altre inondazioni, che hanno sconvolto il nostro territorio: prima tra tutte l’alluvione del Polesine che colpì l’Italia nel 1951 con conseguenze pesantissime.
Consuetudine alle alluvioni
L’Italia ha una lunga storia di inondazioni dalle più recenti in Emilia Romagna e Marche, all’alluvione di Firenze del 1966 che devastò la città e le sue opere d’arte, a quella in Valtellina che nel 1987 provocò 53 morti, a quella di Sarno del 1998 che contò 161 vittime.
Ma l’alluvione del Polesine è rimasta nell’immaginario collettivo come una delle più gravi sciagure dell’Italia del dopoguerra. Ha segnato pesantemente il territorio e i suoi abitanti. Le vittime furono più di cento, gli sfollati più di 180.000.
Polesine 14 novembre 1951: la rottura degli argini a Occhiobello
Il 1951 fu un anno estremamente piovoso e nei primi giorni di novembre le precipitazioni furono particolarmente intense e provocarono una piena eccezionale del fiume Po e dei suoi affluenti.
I primi allagamenti si verificarono il 12 novembre nell’Oltrepò pavese, alla confluenza tra il Ticino e il Po.
Altri straripamenti si ebbero nel cremonese e nelle province di Parma e Reggio Emilia.
Il 14 novembre si verificò il disastro: il Po ruppe gli argini a Occhiobello e l’ondata di piena invase il Polesine portando distruzione e morte in un territorio in cui ampie aree erano a quote inferiori al livello del mare.
Ben otto miliardi di metri cubi d’acqua invasero 107.000 ettari di terreno coltivato.
I raccolti andarono perduti, furono distrutte case, allevamenti, aziende agricole: la desolazione era ovunque.
Gli argini furono inefficaci
Le opere costruite per fronteggiare gli allagamenti furono inefficaci.
Canali e argini erano in cattive condizioni per i danni subiti durante la guerra (finita solo sei anni prima) e per la poca manutenzione degli anni successivi.
La catastrofe fu causata dalle piogge eccezionali, che ingrossarono il Po e i suoi affluenti, ma fu innescata da una sottovalutazione storica dei problemi idraulici del territorio.
L’impreparazione e le esitazioni di chi doveva prendere le decisioni e intervenire fece il resto.
Oltre mille chilometri quadrati di campi coltivati furono sommersi dall’acqua, che in alcuni punti raggiunse la profondità di sei metri.
Gli allagamenti non defluirono per undici giorni. La bonifica dei terreni si protrasse fino al maggio 1952.
Grande campagna di solidarietà
I mezzi del tempo non permisero di allertare la popolazione in modo tempestivo ed efficace.
I soccorsi furono inadeguati.
Le vittime furono più di cento, la maggior parte delle quali trovò la morte sul camion che avrebbe dovuto portarli in salvo, ma che si impantanò e fu inghiottito dall’acqua.
La situazione era disastrosa, ma il Paese intero si mobilitò in una grande campagna di solidarietà. La generosità dei soccorritori toccò momenti di vero eroismo.
Dall’Italia e dall’estero arrivarono volontari, medicinali, viveri e indumenti destinati all’area alluvionata.
L’epilogo
180mila persone furono costrette a lasciare la propria casa, 80mila non vi fecero più ritorno, dando vita alla prima ondata migratoria del secondo dopoguerra.
Settantatré anni dopo
Sono cambiati i tempi, sono migliorati i mezzi ma nell’alluvione del Polesine possiamo riconoscere dei tratti che ancora oggi segnano le catastrofi: l’inefficienza della prevenzione, i ritardi nei soccorsi, le polemiche sugli interventi, la generosità e la solidarietà di tanti, le ferite al territorio difficili da risanare.