La storia di una lunga dominazione coloniale che ha portato un pezzetto di Cina ad essere annesso dagli stranieri e da loro trasformato passando da essere un piccolo villaggio a essere una grande metropoli e uno degli hub commerciali più importanti al mondo.
Siamo alla mezzanotte dell’1 luglio 1997 e una pioggia scrosciante cade sopra la città di Hong Kong.
La Union Jack è stata appena ammainata per l’ultima volta in città mentre per la prima volta la bandiera rossa della Repubblica Popolare viene innalzata.
Due delegazioni assistono, impassibili, all’evento: da una parte i britannici guidati dal neo primo ministro Tony Blair e dal principe Carlo, in rappresentanza della regina, dall’altra la delegazione cinese guidata da Jiang Zemin, presidente della repubblica, e Li Peng, il suo primo ministro.
Per i primi è la fine definitiva del proprio impero coloniale che oramai appartiene soltanto alla storia (si sono comunque tenuti qualche “ricordino” in giro per il mondo); per i secondi, invece, è la fine dell’occupazione straniera di una parte del proprio territorio durata ben 156 anni.
Per la città di Hong Kong, infine, è la conclusione di un periodo di governo coloniale lunghissimo che però l’ha vista passare da essere un semplice villaggio di pescatori a essere una grande metropoli con più di sei milioni di abitanti [1] e uno dei cuori pulsanti dell’economia mondiale.
Ma come è stato possibile che un pezzo di Cina sia stato ceduto ai britannici e da loro governato per così tanto tempo? Le origini di questa storia, come si è già intuito, vanno ricercate molto indietro nel tempo precisamente in un anno il 1839.
In quegli anni il Regno Unito aveva già sottomesso l’India, sconfitto Napoleone ed era diventata la principale potenza mondiale.
La Cina, d’altro canto, era arroccata in uno splendido isolamento con limitati scambi commerciali col resto del mondo; convinta com’era di essere ancora la nazione più sviluppata del globo.
La storia dimostrò che aveva torto, specialmente dal punto di vista militare l’Impero cinese era rimasto indietro di quasi un secolo e mezzo rendendo le sue forze armate virtualmente incapaci di contrastare una seria aggressione portata avanti da una o più potenze occidentali.
Di questa debolezza però gli inglesi se ne stavano rendendo conto abbastanza rapidamente e l’unico tassello che mancava era un motivo per scendere in guerra.
La Cina infatti non era completamente chiusa agli stranieri. In pochissimi porti, di cui il principale era Canton, era consentito il commercio con l’estero e qui gli stranieri acquisivano merci preziose, in particolare il tè, pagandolo profumatamente in argento. Questo sistema rappresentava una grossa spesa per le nazioni europee che vedevano defluire grosse quantità del metallo prezioso fuori dai propri mercati per poi sparire all’interno di quello cinese.
Per compensare questo deficit commerciale la Compagnia britannica delle Indie orientali iniziò a importare in Cina l’oppio che produceva in grandi quantità nel Bengala.
L’oppio era già conosciuto da secoli in Cina e aveva già portato a una grave epidemia di tossicodipendenza motivo per cui era stato proibito nel 1729. Tuttavia la Compagnia fu in grado di mettere in piedi un sistema di contrabbando talmente efficiente che in breve tempo il mercato cinese fu saturato dall’abbondante disponibilità d’oppio.
Questo scatenò a una nuova, gigantesca ondata di tossicodipendenza portando la bilancia degli scambi commerciali non solo ad essere in pareggio ma addirittura a pendere dalla parte degli inglesi. Il limite venne raggiunto proprio nel 1839 quando la corte imperiale esasperata per la situazione decise di porre fine al traffico di droga. In marzo, infatti, i funzionari cinesi arrivarono nel porto di Canton bruciando circa 1300 tonnellate di oppio senza indennizzare i trafficanti.
Contemporaneamente l’imperatore Daoguang inviava una missiva alla regina Vittoria in cui le si chiedeva di porre termine a quello che oggi chiameremmo narcotraffico.
Per tutta risposta nel maggio del 1840 le navi di Sua Maestà si presentarono davanti ai porti cinesi bombardandoli e iniziando a sbarcare truppe questo era infatti il casus belli che stavano aspettando. La guerra durerà fino al 1842 e vedrà le forze cinesi pesantemente sconfitte.
Il paese fu obbligato a firmare un vergognoso trattato di pace in cui fu costretto a consentire il commercio d’oppio, ad aprire altri porti per gli scambi commerciali e a cedere l’isola di Hong Kong al governo inglese. Per i cinesi iniziava l’epoca dei “trattati ineguali” mentre per Hong Kong la sua storia come colonia britannica.
Gli inglesi iniziarono subito una tumultuosa espansione degli insediamenti sull’isola mentre la popolazione aumentava di sedici volte tra il 1842 e il 1870. Iniziava così la crescita della città che in breve tempo l’avrebbe portata a occupare l’intera isola su cui sorgeva. Ben presto il suo porto divenne uno dei crocevia, insieme all’altra colonia di Singapore, per le merci che dall’India transitavano verso l’Estremo Oriente e viceversa redendo Hong Kong una delle colonie più importanti della corona britannica nel Sud Est asiatico.
Con l’inizio del XX secolo la città divenne anche una delle poche “isole di tranquillità” nella tempesta della guerra civile che travolse il resto della Cina; il che non fece altro che spingere ancora di più la crescita della popolazione. L’afflusso continuo di profughi, in cerca di salvezza e di lavoro, la rese una delle metropoli più popolose al mondo dando avvio al fenomeno dei quartieri “formicaio” in cui si ammassavano i nuovi arrivati.
Nel resto della Cina, infatti, la fine dell’ultima dinastia imperiale aveva portato al collasso del sistema statale e il paese era preda dei signori della guerra e dei movimenti insurrezionali con un governo centrale debole e corrotto.
Come se non bastasse dal 1937 i giapponesi iniziarono l’invasione dell’intera Cina compiendo immensi massacri, come quello di Nanchino, il che non fece che peggiorare la situazione complessiva. Dall’ottobre del ’38 l’isola si trovò completamente circondata dalle forze giapponesi che garantirono il rispetto dei confini della colonia. Ma questa situazione non sarebbe durata a lungo. Il 7 dicembre del 1941 le forze giapponesi attaccarono la flotta americana all’ancora a Pearl Harbor, l’Impero del Sol Levante era ufficialmente entrato nella Seconda Guerra Mondiale.
Già l’8 le truppe nipponiche iniziarono l’invasione dell’isola con la scarna guarnigione locale che tentò disperatamente di resistere. La battaglia infuriò fino al 25 dicembre quando le ultime forze inglesi si arresero. Iniziava il periodo più buio della storia di Hong Kong britannica. Durante i quattro anni di occupazione giapponese la popolazione si dimezzò mentre la scarsità di cibo, per via delle difficoltà di approvvigionamento che in realtà riguardavano l’intero impero, rese sempre più inviso il nuovo governo d’occupazione.
Con la fine della guerra e la resa del Giappone il governo britannico venne facilmente ristabilito sull’isola un po’ perché la popolazione oramai alla fame era disposta ad accettare qualsiasi aiuto, un po’ perché i cinesi erano impegnati in una nuova guerra civile che vedeva contrapposti i comunisti, guidati da Mao Zedong, ai nazionalisti di Chiang Kai-shek. Fin da subito però gli inglesi si accorsero che per mantenere il dominio sulla colonia sarebbe stato necessario iniziare a devolvere una parte del potere ai locali. Hong Kong ora, con un proprio limitato autogoverno locale, poteva finalmente riprendere la propria crescita.
Il dominio inglese consentì ad Hong Kong di preservare un’economia di mercato mentre nel resto della Cina si stabiliva il governo di Mao, emerso vincitore dalla guerra civile nel 1949, risparmiandogli la fase più dura della costruzione del nuovo sistema economico di stampo comunista.
Curiosamente ciò fece la fortuna di un’altra città cinese, Shenzhen, che si ritrovò ad essere il punto d’arrivo e di partenza di tutti gli scambi commerciali, legali e non, tra la Repubblica Popolare cinese e Hong Kong. Proprio qui nel 1980 Deng Xiaoping, succeduto nel frattempo a Mao Zedong, creò la prima zona economica speciale dando inizio a quella riforma che porterà la Cina ad aprirsi all’economia di mercato.
Tuttavia per la dirigenza cinese rimaneva un punto importante il rientro di Hong Kong alla Repubblica Popolare cinese. Proprio sotto Deng venne firmata nel dicembre del dell’84 la dichiarazione congiunta sino-britannica che fissava il percorso per il ricongiungimento dell’isola alla madrepatria da effettuarsi l’1 luglio 1997. In base agli accordi a Hong Kong sarebbe stata garantita una certa autonomia per i successivi 50 anni in modo da facilitare l’unificazione. E così siamo tornati al punto di partenza.
Sulle languide note di Auld Lang Syne le truppe britanniche sfilano per l’ultima volta nella loro oramai ex colonia. Il commentatore inglese che assiste a questa parata paragonò il lento cadenzare dei soldati a una lenta marcia verso un nuovo ordine.
Molte cose sono successe da allora nel “Porto Profumato” (questo è il significato del nome Hong Kong) e cosa accadrà in futuro soltanto il tempo lo potrà dire. Quel che è certo è che Hong Kong prosegue la sua marcia.