Antonio Petrocelli è un artista a tutto tondo: attore, umorista, cabarettista, scrittore e caratterista dalla lunga esperienza e con una visione del tutto originale sul come dovrebbero andare le cose nell’universo del grande schermo e del palcoscenico teatrale. Lucano di origine, vive da sempre in Toscana, ha lavorato al fianco di Francesco Nuti e Diego Abatantuono ed è stato diretto anche da Nanni Moretti, Daniele Luchetti, Carlo Mazzacurati e Gabriele Salvatores. Gli abbiamo rivolto alcune domande sullo “stato dell’arte”, è il caso di dirlo, del cinema e del teatro, anche alla luce del grande successo delle piattaforme televisive nel periodo di lockdown da Covid-19.
Dopo due anni di pandemia e con le piattaforme televisive cresciute in modo consistente, che senso ha, oggi, fare cinema in termini tradizionali?
Il fatto che la maggior parte dei film siano destinati a uscire sulle varie piattaforme significa che comunque le produzioni lavorano. Il vero problema è il destino delle sale cinematografiche tradizionali, quelle che sono state luoghi di incontro e socialità nei centri storici e che vengono sostituite dalle multisale che sono una specie di mercato nelle periferie più anonime, in cui soddisfare tutte le tentazioni culinarie e ludiche della gioventù, fra le quali come appendice anche un film. Si è persa la ricerca dell’immagine, di quel senso estetico che ti fa preferire il grande schermo, l’immagine che a volte ti sovrasta, che ti trasporta nella storia, che ti rapisce fisicamente proprio perché grande, immensa, carica di colori e emozioni. Si sta perdendo questo e non è un bene. Perché è proprio la grande immagine dello schermo che alimenta il nostro immaginario, ci fa amare l’utopia, ci spinge a superare i nostri limiti. Il cinema proiettato sul grande schermo non è quindi solo una mera storia da seguire, ma è il luogo in cui far crescere una comunità. È un discorso su cui riflettere.
Il ritorno faticoso da parte degli appassionati nelle sale cinematografiche possiamo rapportarlo anche al teatro?
Il teatro credo che abbia basi più solide che difficilmente si possono scardinare. È un mestiere antico e per questo può più facilmente resistere alla devastazione cui è soggetto il cinema. Non esiste un surrogato del teatro, come lo è il piccolo schermo per il cinema. E poi il teatro ha dalla sua il fatto di non essere una macchina per soldi come lo è il cinema. Il pubblico teatrale è pressoché sempre lo stesso da anni. Certo, la grande epopea di qualche anno fa, quando il teatro ha invaso le piazze, spazi meno tradizionali, luoghi teatrali inventati e quindi anche forme espressive diverse, sperimentali, sembra essere tramontata. Tuttavia il teatro è un luogo di elaborazione emotiva cui è impossibile rinunciare.
Abbiamo assistito, negli ultimi tempi, a produzioni cinematografiche italiane di alto livello. Mi riferisco a film come Esterno Notte o La scuola cattolica (parere personale ovviamente) e, altresì, decine di altre produzioni per così dire, più leggere, che ormai identificano il cinema italiano. Non ti sembra che nel nostro Paese quando si parla di cinema prevalga più la quantità che la qualità?
Il nostro è il paese della commedia. Non si può prescindere da questo. I produttori sono abituati a non rischiare e vanno incontro al gusto certo del pubblico. Si negli ultimi anni si producono meno film. Dipende certamente da una imprenditoria che non vuole rischiare. Piuttosto che cercare fortuna nel mercato delle sale, preferisce vivere al sicuro sotto l’ombrello della televisione e del network. Certamente è deludente constatare che il cinema italiano che ha fatto la storia del cinema mondiale, con i suoi maestri cui hanno attinto tutti i cineasti del mondo, debba assistere a un declino inevitabile per la mancanza, soprattutto, di politiche adeguate. Il cinema in paesi come la Francia è difeso come se fosse un’industria primaria. In italia stiamo ancora a discutere se investire nella cultura sia conveniente o meno. Quanta stupidità in chi crede ancora che con la cultura non si mangia. Tuttavia e fortunatamente possiamo sempre contare su registi bravi, su attori strepitosi, tecnici competenti. La qualità secondo me è comunque assicurata, da registi della vecchia guardia come Bellocchio e da un numero consistente di registi che sono apprezzati nel mondo: Moretti, Sorrentino, Luchetti, Salvatores, Garrone, Martone e altri. Sono tutti registi che hanno ancora qualcosa da dire. La qualità non manca. Ciò che manca è proprio la quantità. Manca l’industria cinematografica, manca il senso dello sviluppo, la capacità di estendere la crescita, di programmare le attività produttive, la capacità espansiva che l’industria cinematografica offre da sempre.