Lei come al solito si era presentata puntuale e aveva insistito per arrivare da sola. Non aveva voluto che andassi a prenderla. Lei, Anna, aveva detto che non sapeva da dove sarebbe arrivata. “Procedura NC” aveva sentenziato. “Capisco” avevo risposto. Che altro potevo dire? Sapevo perfettamente si sarebbe trattato di un incontro da svolgere in condizioni di sicurezza e Non Compromissione.
Mi aveva convocato dall’altra parte del mondo, ero arrivato il giorno prima e avevo prenotato come da indicazioni. Cena nell’angolo del piccolo ristorante fuori mano nel paesino sardo di Belvì nel Gennargentu Mandrolisai di cui ricorderò per sempre il menù e non solo quello. Sala arredata in gusto barocco, poca luce, lampada bassa appoggiata sul tavolo. Vuoto, solo noi due. Per lei pesce, aragosta di Alghero pescata fresca. Insalata di zucchine crude tagliate fini, pomodori freschi e tanta cipolla rossa cruda dolce. Non avrebbe baciato nessuno.
Per me invece carne. Su porceddu cotto allo spiedone. Il cuoco ci aveva lavorato fin dal mattino infilzando la bestia nel girarrosto del camino e lo aveva servito in modo elegante su un vassoio di sughero. Porcellino da latte croccante, saporito al punto giusto. Una delizia. Mi ero abbuffato. Maiale! Non era da fare. Pazienza. Avevo divorato una coscia intera senza inibizioni e usando le mani. Senza contorno. Solo pane carasau e in onore al piatto di pesce di Anna avevamo bevuto vino bianco. Vermentino fresco.
Regola. Quando si mangia, poche parole e parlare del niente. Solo formalità e a me andava bene così. Ero arrivato da Canberra con il benestare formale del mio Dipartimento IV ASIO -Australian Security Intelligence Organisation- e dopo aver attraversato mari e monti, la serata per me poteva già essere conclusa. Illuso.
Sapevamo entrambi perché eravamo in quel posto. Era già successo in simili occasioni. Modello standard operativo. Niente di nuovo, ma comunque inconsueto. Probabilmente mi avrebbe affidato una ricerca informativa riservata, oppure compiti d’indagine confidenziali magari riguardanti la nostra sicurezza nazionale. Mangiavo, ascoltavo e osservavo proprio come mi avevano addestrato. Poi, arrivati al dolce e dopo le due seadas con ricotta servite tiepide, arrivò la cannonata.
Anna la brillante esordì con una domanda al vetriolo: “Hai idea della quantità d’infezioni e malattie si prendono lasciando pezzi di merda attaccati al culo, nel deserto?”. Colpito, sbiancato e zitto, me lo avrebbe detto lei. Mandavo giù storto e la guardavo. Lei iniziò ad elencare suppurazioni, pus, putrefazioni, indisposizioni e quei leggeri imbarazzi che rimangono attaccate dietro, sul lato B. Dimostrò competenza e buon gusto. A tavola poi… Io senza più nulla in bocca ascoltavo e tacevo. Anna proseguì spiegando nei dettagli cosa fossero i condilomi, emorroidi, ragadi, fistole anali e altra roba del genere. Mi venne da vomitare, il dolce che saliva in gola. Il pecorino, la ricotta e il miele ai fiori d’arancio delle seadas erano al limite, pronti a sboccare. Respiravo col naso e deglutivo. Anna proseguiva con merdose schifezze e io serravo i denti. Non aprii mai le labbra e mi feci il film mentale della corsa al bagno giurando che mi sarei sempre lavato le chiappe ogni volta che sarei andato alla toilette. Niente carta igienica, solo acqua e sapone. Mi sarei sempre sciacquato dopo aver… Merd! A quel punto fu tutto chiaro. Un lampo. Una premonizione. Mi stava avvisando.
Come avrei fatto a lavarmi nel deserto? Allora erano vere le indiscrezioni che circolavano a Canberra alcuni giorni prima, mi stava inviando in missione nel deserto del Gobi. In quella parte del mondo sperduta in cui nessuno voleva più andarci ormai da molto tempo. Nella parte più isolata e impervia della via della seta cinese. Un inferno di niente. Caldo e sole di giorno. Freddo e silenzio di notte. Senza acqua e con le chiappe non lavate. Malattie assicurate. Che carina Anna. Il mio boss. L’ultimo pasto in Sardegna prima della partenza. Proprio una bella cena di … di un benaugurante addio. Lei pagò il conto e uscì da sola.
Foto del Deserto del Gobi, in copertina, di Riccardo Pandolfi