Parla Marco Corvino, il nipote di Don Giuseppe Diana ricordando lo zio, il sacerdote cattolico, chiamato dai suoi amici, parenti e parrocchiani anche Peppe Diana o Don Peppino Diana, nato a Casal di Principe il 4 luglio 1958 e assassinato il giorno di San Giuseppe nel suo stesso paese, il 19 marzo 1994.
Un ricordo ancora vivo nella tua mente
“Sì, 30 anni fa quando uccisero mio zio, avrei compiuto vent’anni. Quel giorno mi ha cambiato la vita. Dal punto di vista anagrafico mia mamma e don Peppino sono figli di due fratelli, dal punto di vista del vissuto io abitavo a 10 metri dalla parrocchia dove lui fu assassinato.
Ero uno dei ragazzi che frequentava la parrocchia e lo seguivo dappertutto: dallo stadio, ai ritiri spirituali, alle scampagnate, ai problemi in chiesa e nel quartiere. Al di là della parentela, lo vivevo, lo respiravo. Era un riferimento”.
Com’era lui, in famiglia e con i ragazzi dell’oratorio?
“Lui veniva da una famiglia contadina dove si respirava l’aria dei campi ed era uno dei pochi acculturati, era laureato in storia e filosofia e in teologia.
A Casal di Principe a quei tempi avere un sacerdote in famiglia era un valore, una medaglia d’oro da portare al petto e lui quella medaglia la faceva brillare al massimo.
Rispetto agli altri preti di campagna era un rivoluzionario, un giovane uomo morto a trentasei anni”.
Parlaci di lui
“Arrivò in sostituzione del parroco precedente morto da poco, che gestiva la parrocchia in modo tradizionale. Quando arrivò lui in parrocchia c’era la divisione in gruppi tra maschi e femmine, ma nel giro di un anno riuscì a portare maschi e femmine insieme al ritiro spirituale per tre giorni, cosa impensabile a quei tempi, con quelle famiglie e quella mentalità.
I genitori dei ragazzi si fidarono di don Peppino e gli affidarono chi i propri maschi e chi le proprie femmine.
Era presidente di una sezione dell’Associazione AGESCI e organizzava con le guide e gli scouts cattolici le attività. Con loro organizzava pellegrinaggi per portare gli ammalati a Lourdes. Li accompagnava per fare il servizio di barellieri. Organizzò anche un gruppo della parrocchia e noi partecipammo per la prima volta”.
Un ricordo
“Don Peppe ci insegnò che in chiesa ci poteva essere tutto: la fede, la fratellanza, lo svago. Era un grande tifoso del Napoli calcio. A volte la domenica pomeriggio quando giocava il Napoli la messa durava qualche minuto in meno perché dovevamo correre con la sua golf GM 1600 diesel bianca al San Paolo a tifare il Napoli dove lui prima della partita si accendeva il sigaro”.
Era un uomo coraggioso
“Sì, ma non sprovveduto. Il suo motto era “il coraggio di avere paura” perché sapeva bene che l’incoscienza è una cosa e il coraggio un’altra.
Il coraggio viene dalla consapevolezza di quello che si sta affrontando, l’incoscienza viene dal non sapere nulla di quello che si sta facendo”.
Qual è il suo messaggio che è rimasto ai ragazzi oggi, quali i valori che ha seminato?
“Io non mi rendevo conto di vivere in un ambiente difficile che per me era la normalità, anche trovare i morti per strada, gente che conoscevi o frequentavi, perché il paese era piccolo.
Nei giorni precedenti la sua morte ci furono sette, otto omicidi nell’arco di tre settimane. Quello era il clima che respiravamo.
Lui ci voleva insegnare altri valori, farci capire che si poteva vivere bene, tranquillamente, nella semplicità, nella pace e nella fede e in amore con gli altri, senza avere l’ossessione del potere o del denaro. Questo era quello che voleva trasmettere e faceva di tutto per tirare fuori i ragazzini dai punti di frequentazione “brutti”, quelli bazzicati da personaggi poco raccomandabili. Faceva di tutto per portarli in chiesa.
Una volta riuscì a trasformare il cortile parrocchiale in un campo da calcetto organizzando un torneo estivo con varie squadre dei rioni e fu un successo strepitoso, c’era da mangiare, ricordo la pasta e fagioli e tutto ciò era per tenere lontane le persone dai luoghi negativi.
Era un uomo solare, sorridente, socievole”.
Oggi è ancora così o è cambiato qualcosa?
“Oggi non è più così. All’epoca c’era l’egemonia di alcune famiglie che facevano intendere che tutto poteva essere fatto con il loro consenso e si viveva un’aria cupa e di chiusura. Con la sua morte queste famiglie sono state debellate perché lo Stato ha reagito e ha iniziato a fare la guerra ai vari clan e nel giro di quattro, cinque anni ci sono stati arresti eccellenti e i clan decapitati delle loro teste. Oggi c’è la microcriminalità che prima non c’era, ma la gente è comunque più libera, parla di più, cosa che prima non faceva”.
Un aneddoto o una curiosità sullo zio Peppe
“Ci trasmetteva la voglia di vivere, stare con lui era un piacere.
Ricordo un episodio durante l’Avvento, alle sette di sera finita la funzione della novena alla Madonna prese un gruppetto di noi che lo aspettava per passare la serata insieme e sulla mitica golf bianca ci portò a bere un caffè a Piazza di Spagna a Roma.
Andammo fino a Roma, da non credere. Bevemmo il caffè, facemmo il giro della piazza e tornammo a casa. Per noi ragazzini fu come toccare il cielo”.
Altro…
“Ricordo i campi estivi di quindici giorni con gli scout, fatti a Locri, nella tenuta di un amico, per vivere momenti di allegria e spiritualità.
Una volta arrivammo a Locri presto, alle sei del mattino e per non svegliare questo amico, sul lungomare ci fermammo, mettemmo i costumi e facemmo il bagno”.
L’ultimo ricordo
Il giorno della sua morte sentii gli spari e le urla da casa mia che distava pochi metri. Mi affacciai e vidi che c’era il fuggi fuggi generale perché c’erano persone in chiesa che recitavano il rosario, io corsi da lui e lo trovai.
Questi sono i miei ricordi di don Peppino. Era una grande persona.
Parecchi lo inquadrano come un uomo che combatteva la camorra, come un umo che… eccetera eccetera, ma si dimenticano che aveva 36 anni ed era poco più che un giovanotto”.
Ci fu molta partecipazione al funerale
Le stime furono di ventimila persone. In genere le persone voltavano la testa dall’altra parte, non vedevano e sentivano mai nulla. Quel giorno la popolazione fu invitata a partecipare esponendo lenzuola bianche contro la malavita. Ricordo che dalla chiesa al cimitero, un percorso di quattro, cinque chilometri a piedi, Casale era tempestata di lenzuola bianche, pendevano da tutti i balconi.
Infine…
Ho una foto alla quale tengo molto e ogni volta che la guardo mi dà i brividi.
Nel 1990 Papa Giovanni Paolo II venne in visita ad Aversa e nella cattedrale ebbe un incontro riservato con il clero locale. In questa foto c’è il Papa che cammina tra due ali di sacerdoti che sono lì ad accoglierlo, arriva davanti a don Giuseppe e si inginocchia.
Papa Giovanni Paolo II si inginocchia davanti a Don Giuseppe Diana
Questo quattro anni prima dell’omicidio, quasi a presagire il martirio. Don Peppe esita dalla paura, si vede nella foto che fa un passo indietro, come dire: “Che succede?”