Il 15 settembre 1993, don Giuseppe “Pino” Puglisi, sacerdote e simbolo della lotta contro la mafia a Palermo, veniva brutalmente assassinato sotto casa sua nel quartiere di Brancaccio. Aveva compiuto 56 anni proprio quel giorno, e il suo sorriso coraggioso fu l’ultima immagine impressa negli occhi del sicario, che gli sparò alla nuca.
La missione del sacerdote
Don Puglisi non era un prete comune. Sin dall’inizio del suo ministero, aveva scelto di portare avanti la sua missione nelle periferie più difficili della città , lavorando instancabilmente per sottrarre i giovani alla malavita e offrire loro un’alternativa alla vita criminale. Attraverso la parrocchia di San Gaetano, organizzava attività educative e sociali che minavano l’autorità della mafia sul territorio.
La brutalità della mafia
Le sue azioni e il suo messaggio, che si opponevano apertamente al sistema mafioso, lo resero un bersaglio. Don Puglisi sapeva di essere in pericolo, ma continuava la sua opera con coraggio. “Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto”, ripeteva spesso, cercando di risvegliare le coscienze della gente.
L’esempio sempre vivo del parroco
L’omicidio di don Puglisi scosse profondamente la comunità palermitana e l’intera Italia. La sua morte, tuttavia, non segnò la fine della sua missione. Il suo esempio continuò a ispirare la lotta contro la mafia e il suo ricordo divenne un faro di speranza. Nel 2013, don Puglisi è stato proclamato beato dalla Chiesa cattolica, riconoscendolo come martire “ucciso in odio alla fede”. Oggi, a distanza di anni, il suo impegno contro la criminalità organizzata rimane vivo nei cuori di chi ha preso a cuore la sua battaglia per la giustizia e la dignità umana.