Tutto lascia prevedere che il prossimo test elettorale di effettivo interesse per la politica italiana saranno le elezioni per il Parlamento Europeo (maggio/giugno 2024). Per allora, salvo clamorosi colpi di scena, il governo Meloni sarà stato operativo per oltre 18 mesi e quindi già valutabile, quanto meno provvisoriamente (cosa che non potrà dirsi per le imminenti votazioni regionali in Lazio e Lombardia e neppure per il turno amministrativo della prossima primavera). E, sempre per allora, il nuovo segretario del PD avrà avuto modo di rilanciare (oppure no) il partito che in linea teorica dovrebbe essere la principale forza d’opposizione al governo. Dunque, dal punto di vista nazionale, le elezioni europee 2024 rappresenteranno un sondaggio alquanto veritiero sullo stato di salute delle forze politiche di governo e di quelle d’opposizione. Un sondaggio peraltro al quale partecipa solo il 50/60% degli aventi diritto, essendo l’astensionismo da sempre più marcato in questa competizione.
Ma, ed è questo il problema che qui mi preme evidenziare, dal punto di vista europeo si tratta di una constatazione affatto consolante. Significa che ancora oggi ad oltre 40 anni dalle prime elezioni dirette il Parlamento di Strasburgo non viene visto dai cittadini europei (non solo da quelli italiani: l’effetto “sondaggio” è presente in ogni Paese) come il luogo di massima espressione democratica dell’Unione e di legittimazione popolare del governo UE (la Commissione) bensì come la sommatoria di equilibri politici nazionali. Ed infatti gli stessi partiti, pur organizzati in gruppi a Strasburgo e pur esistenti a livello continentale (PPE, PSE, ecc,), organizzano le campagne elettorali sulla base delle questioni nazionali e solo latamente trattano delle problematiche europee. Mentre sono pochi, realmente pochi, gli elettori che hanno contezza, almeno generale, di come funzionano le istituzioni europee. Lasciando così spazio alla disinformazione in merito, largamente veicolata dai gruppi nazionalisti, sovranisti ed antieuropeisti.
E’ di tutta evidenza quanto questo sia un grosso freno all’integrazione politica europea e, conseguentemente, ad una più efficace presenza della UE nella geopolitica mondiale. Ecco perché, per rendere le elezioni europee più importanti, più “sentite” dalla popolazione, e in qualche misura più democratiche (nel senso di reale espressione della volontà popolare mirata esattamente alla composizione del Parlamento sovranazionale) occorrerebbe che esse fossero organizzate su scala continentale e non nazionale, con liste europee e non nazionali, espressioni di partiti europei e non nazionali.
Una proposta questa che ogni tanto qualcuno lancia, naturalmente nel più generale disinteresse. Peccato, però. Perché – come gli eventi che accadono nel mondo, talvolta anche molto vicini geograficamente a noi, si incaricano di rammentarci – di una Europa davvero unita ci sarebbe bisogno. E un suo Parlamento democraticamente eletto dai suoi 450 milioni di cittadini uniti da liste uguali per tutti sarebbe un formidabile propellente per accelerare un processo di unificazione che, al contrario, se lasciato nelle mani dei soli governi nazionali, come accade ora, ben difficilmente potrà compiere degli effettivi passi in avanti.