“Io voglio una cultura plurale. Come dice Marcello Veneziani bisogna rompere la “cappa”. Tutti devono avere pari dignità di esprimersi: non voglio sostituire a un’egemonia di sinistra un’egemonia di destra, ma voglio aggiungere. Se qualcuno vuole fare un film su Pirandello o su D’Annunzio, deve poterlo fare liberamente”. E ancora: “Non solo, chiederò alla RAI di fare una fiction sulla vita di Indro Montanelli e su quella di Oriana Fallaci”. Non domo: “C’è bisogno di una riappropriazione del senso di identità nazionale. Gli italiani devono avere consapevolezza della loro grande storia: il mondo greco-romano, il Rinascimento, l’Umanesimo, e ancora un Novecento importante”. Sono le prime dichiarazioni di peso del nuovo Ministro della Cultura della nazione italiana, Gennaro Sangiuliano.
Viene da chiedersi se prima di avanzare queste osservazioni critiche si sia fatto un giro nell’emeroteca della RAI, o se abbia di recente avuto occasione di andare al cinema, dove forse ritiene che sia ancora in programmazione settimanale La corazzata Potemkin o Chapaev. Di certo, fra i diversi esempi che ha portato per suffragare l’idea di un’egemonia culturale della sinistra sulla cultura italiana non ne ha quasi imbroccato per sbaglio nemmeno uno. La fiction su Oriana Fallaci, come hanno già avuto modo di chiosare diversi quotidiani di informazione, è già stata realizzata, nel 2015 con il titolo L’Oriana, e ad onor del vero occorre anche dire che non ebbe successo. Film su Pirandello e D’Annunzio anche, senza che a nessun cineasta, sceneggiatore, regista sia stata posta a tal proposito una sordina. Proprio in questi giorni è in sala “La stranezza”, il bel film di Roberto Andò sulla figura di Pirandello. E giusto un anno fa era uscito “Il cattivo poeta”, film di Luca Jodice con un magistrale Sergio Castellitto nelle vesti del Vate. Anche se forse, va riconosciuto a Sangiuliano che si poteva evitare un attributo così negativo nel bel mezzo di titolo che, in questo modo, esprime già di per sé un giudizio politico (ovviamente, di sinistra). Di cultura greca e romana, così come di Umanesimo, è pieno il palinsesto di RAI Scuola, non da oggi, ma da sempre: vedere per credere, dato che è sufficiente compulsare i Cataloghi on line sulla piattaforma RAIPlay. Il Rinascimento è fra gli sfondi storici privilegiati dai film di RAI Fiction, basti menzionare le recentissime serie televisive di successo dedicate a “I Medici” e a “Leonardo”. Volendo, possiamo estendere le nostre considerazioni anche al Medioevo, dato che solo tre anni fa, nella primavera del 2019, andò in onda su RAI 1 la serie televisiva “Il nome della Rosa”, tratta dall’omonimo romanzo di Umberto Eco, diretta da Giacomo Battiato e con il volto popolare di John Turturro nei panni di Guglielmo da Baskerville. Certo, il Ministro della Cultura potrebbe obiettare che qui prevale ancora una visione da “secoli bui” dell’epoca medievale: toni apocalittici, processi per stregoneria, eretici dolciniani, roghi purificatori. Ma tant’è, il Medioevo è quello che è: non per niente Sangiuliano non lo ha richiamato nella sua puntuale ricostruzione storica della grandezza dei fasti italici. E sempre per restare al Medioevo, come non ricordare anche “Dante”, il film di Pupi Avati sul Padre della lingua italiana uscito poco più di un mese fa nelle sale cinematografiche a produzione RAI Cinema? Infine, l’importanza del Novecento non è certo sottovalutata, dato che gran parte della produzione più recente di RAIFiction si colloca proprio nello spazio del cosiddetto “secolo breve”: Rino Gaetano, Luisa Spagnoli, Enrico Piaggio, Volare (dedicato a Domenico Modugno), Walter Chiari, Trilussa, L’ultima Regina (dedicata a Maria Jose di Savoia), Il sorriso di Dio (dedicato a Papa Giovanni Paolo I), Gino Bartali, Adriano Olivetti, Caruso, Cesare Mori, Rita Levi Montalcini … fermiamoci qui!!! Si potrebbero riempire pagine intere, con i titoli dedicati a personaggi del Novecento.
Ma allora, il Ministro della cultura della nazione italiana, di che sta mai parlando? Peraltro, da eminente personalità della destra italiana, oltre che da giornalista RAI (ancora prima di essere nominato Ministro, era Direttore della testata giornalistica del TG 2), dovrebbe ben sapere che il florido filone della “Fiction made in Italy” che ci accompagna ormai da vent’anni, capace di rinverdire la tradizione degli sceneggiati televisivi della RAI degli anni d’oro (fra i Sessanta e i Settanta), ha preso il via sul finire degli anni Novanta con l’approdo nel mondo RAI di politici e dirigenti provenienti da Alleanza Nazionale. Intendiamoci: un’opera meritevole, che peraltro ha permesso al nostro paese di imporsi sul mercato internazionale, creando un format originale e distintivo per le serie televisive.
Esaltazione dei personaggi della storia nazionale, evocazione della triade Dio-Patria-Famiglia (chi non ricorda il bellissimo film di Mario Martone, “Noi credevamo” sulla mazziniana Giovine Italia?), i buoni sentimenti ispirati dalla fede cattolica (da “Don Matteo” a “Che Dio ci aiuti”), la famiglia tradizionale con la sua accogliente benevolenza (da “Nonno Libero” ai “Cesaroni”) … sono già gli ingredienti fondamentali della produzione cinematografica riconducibile al servizio pubblico italiano. Forse non si tratta di una matrice molto plurale, poiché presenta i segni inequivocabili di una concezione molto tradizionale della società. Ma non vi è dubbio che rappresenti una visione del mondo molto vicina al comune sentire degli italiani. E questo lo possiamo dire senza dover necessariamente evocare l’egemonia cultura gramsciana (sebbene si tratti di cultura “nazionalpopolare”, come lo stesso Gramsci potrebbe osservare).
Su una cosa ha ragione il Ministro Sangiuliano: ci siamo dimenticati di Indro Montanelli! E proprio lo scorso anno ricorrevano i venti anni dalla sua morte. Dobbiamo tuttavia osservare che una fiction dedicata a Montanelli non si dovrebbe limitare a raccontare la nascita de Il Giornale, “quando c’era la deriva di sinistra del Corriere della Sera e Montanelli decise di andarsene insieme a Bettiza, Dan Segre e tutte le altre grandi firme che si aggregarono attorno al suo quotidiano, che divenne come la Voce di Prezzolini nel primo Novecento”, come Sangiuliano suggerisce di fare. Ma dovrebbe altresì occuparsi anche di quando Montanelli, contrario all’ingresso in politica di Silvio Berlusconi, decise di lasciare Il Giornale e ricominciare di nuovofondando il quotidiano La Voce (anche se non era quella di Prezzolini!), pur di non rinunciare a quell’indipendenza dal potere politico che ne aveva contraddistinto da sempre l’impegno professionale. Anche questo pezzo della storia di Indro Montanelli andrebbe raccontato. Giusto per coerenza con quel principio di cultura plurale che lo stesso Ministro è interessato ad affermare.