Sembra banale pensare che i figli possono e debbano essere coinvolti nelle incombenze famigliari, qualcuno è addirittura contrario.
Ricordo infatti che alcuni anni fa avevo postato su Facebook alcune vignette su figli che facevano richieste ai genitori come se fossero in un albergo e avevo commentato che i figli non sono ospiti in una casa. Avevo ricevuto una serie di commenti negativi sul mio pensiero che mi avevano lasciato basita.
Molti adulti non avevano compreso che il mio scritto puntava a responsabilizzare i genitori affinchè responsabilizzassero i figli come stile educativo.
Non ricordo bene cosa avevo scritto ma certamente avevo utilizzato uno stile comunicativo che, in modo educato e con tatto, esortava i genitori a riflettere su questo fenomeno, ovvero le richieste dei figli ai genitori come se tutto sia dovuto.
Sono rimasta molto amareggiata da quella vicenda, tuttavia ho capito perché in molte famiglie si sviluppa la prepotenza di certi bambini e ragazzi. Se i genitori hanno un ruolo servile nei confronti dei figli e accettano la mancanza di voglia di far fatica, di arrangiarsi da soli, danno loro sempre la pappa pronta, è evidente che cresceranno dei bambini o dei ragazzi viziati, privi di empatia, pretestuosi nelle richieste, senza un contatto vero e genuino con la realtà.
A cascata poi questi figli mancheranno di empatia verso i loro pari con immaginabili conseguenze.
Io sono madre di quattro figli di cui uno con sindrome di Down. Io e mio marito abbiamo sempre dato l’esempio di collaborare in casa per il bene di tutti, facendo umilmente ciò che serve al momento giusto per tutta la famiglia.
Abbiamo coinvolto i nostri figli sin da piccoli nelle faccende domestiche e anche attraverso di esse abbiamo rafforzato in loro il senso di appartenere ad una comunità, la nostra comunità famigliare, nella quale tutti fanno tutto per tutti. Certamente a seconda delle età che avevano abbiamo chiesto di collaborare con le loro forze e con le loro capacità, accettando anche che qualcosa non fosse fatto come volevamo noi (farsi il letto, pulire per terra, sparecchiare, ecc…).
Abbiamo sempre sfruttato ogni situazione di collaborazione domestica per stimolare la loro intelligenza: riordinare la camera era un’occasione per classificare, preparare lo zaino per andare in montagna l’occasione per apprendere il comportamento di pianificazione, fare la spesa al supermercato era un modo per allenare la gestione di più fonti di informazione e il discrimine fine (quando confrontavamo i prezzi al chilo dei generi alimentari, ad esempio).
I miei figli sono cresciuti con l’idea che dare una mano ai genitori è un modo per essere attenti alla loro fatica e preoccupazione di guidare una famiglia, è un essere parte di un gruppo che si sostiene in tutte le necessità, dove quando qualcuno ha bisogno non deve mai mancare l’aiuto.
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Oggi che sono tutti adulti sono molto sereni e responsabili, a casa non c’è mai bisogno di dire cosa c’è da fare, a volte vedono i bisogni della casa e della famiglia prima di noi genitori.
Molti si stupiscono che con l’età adulta che hanno stanno molto bene con noi genitori, ci cercano per fare cene, pranzi, gite, vacanze. Abbiamo anche ricevuto più volte come regalo di Natale o compleanno una vacanza con loro.
Stanno bene, non sono frustrati per aver aiutato in casa sin da piccoli, non hanno turbe emotive, sono sereni e gioiosi. Chiudo così questo articolo, rispondendo a coloro che anni fa mi hanno assalito su Facebook solo per aver detto che in casa nessuno, neanche un figlio, deve fare l’ospite ma amare gli altri dando se stesso per tutti.
Dott.sa Nicoletta Lastella
Presidente di Sviluppo Cognitivo
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