“Ricordare è un dovere di verità e giustizia, per onorare chi ha sofferto e trasmettere questa memoria alle nuove generazioni. L’Italia non dimentica”. Le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, risuonano con forza in occasione del Giorno del Ricordo, istituito nel 2004 per commemorare le vittime delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata. Un monito chiaro: la memoria non è un esercizio retorico, ma un impegno politico e civile, un dovere di verità che deve saper resistere alle riletture strumentali e alle tentazioni di riduzionismo storico.
La tragedia
Le foibe rappresentano una delle pagine più dolorose della storia italiana del Novecento. Migliaia di italiani, colpevoli solo della loro identità nazionale, furono trucidati dalle milizie comuniste jugoslave di Tito, gettati nelle cavità carsiche in nome di una “epurazione” che si trasformò in vendetta feroce. A questi massacri seguì l’esodo forzato di oltre 300mila italiani da Istria, Dalmazia e Fiume, costretti ad abbandonare tutto, a subire insulti e ostilità, persino nella loro stessa patria. Per troppo tempo, questa tragedia è rimasta ai margini della narrazione storica ufficiale, soffocata da convenienze politiche e revisionismi ideologici. Solo in anni recenti si è avviato un percorso di riconoscimento, sebbene ancora fragile e talvolta ostacolato da chi vorrebbe leggere la storia con lenti deformanti.
Il valore della memoria
Ma il ricordo, come dice Mattarella, non è solo un tributo al passato: è uno strumento per comprendere il presente. Ed è qui che il Giorno del Ricordo assume un significato ancora più pressante, in un’Europa che si ritrova sempre più esposta ai venti del nazionalismo e della riscrittura della storia a fini politici. La memoria deve essere onesta e completa: non può servire a giustificare nuovi steccati e rigurgiti identitari. Perché se è vero che le foibe furono un crimine contro gli italiani, è altrettanto vero che l’odio etnico ha devastato il continente nel Novecento, lasciando dietro di sé guerre e divisioni, e che oggi il rischio è di ritrovarsi intrappolati in vecchie dinamiche che credevamo superate.
I nazionalismi
È qui che si inserisce un altro nodo del nostro tempo: la crescita delle nuove destre radicali, quelle che negli Stati Uniti prendono il nome di “tecnodestre” e in Europa si esprimono attraverso il sovranismo, il rifiuto dell’integrazione europea, la nostalgia per un mondo fatto di confini rigidi e supremazie nazionali. Un fenomeno che non è lontano dalla politica italiana di oggi, con un governo di centrodestra che flirta con i populismi di stampo trumpiano e guarda con favore a un’Europa meno coesa, più frammentata.
Il Giorno del Ricordo
In questo contesto, il Giorno del Ricordo non deve diventare uno strumento di divisione, bensì un’occasione per riflettere su quanto sia pericoloso l’uso politico della storia. Il sovranismo e il nazionalismo esasperato non sono la risposta alle ferite del passato, anzi, rischiano di riproporne le stesse dinamiche. L’Italia, che ha vissuto sulla propria pelle il dramma delle foibe e dell’esodo, dovrebbe essere in prima linea nel difendere un’Europa unita, nel respingere le tentazioni revisioniste e nell’impegnarsi a costruire una memoria condivisa che non sia mai usata come strumento di propaganda.
Perché la storia, quando viene piegata agli interessi di parte, smette di essere verità e diventa una trappola per il futuro. E il dovere della memoria è soprattutto questo: impedire che gli errori del passato diventino le illusioni del presente.