Ad oggi, studiare è sia un dovere che un diritto garantito in sede costituzionale, dove si sancisce anche che i più capaci e meritevoli, se privi di mezzi, abbiano diritto ad accedere agli studi superiori. In Italia, la scuola e, in generale, il diritto a studiare è stato oggetto di un’ampia evoluzione nel tempo, seguita a un dibattito per molti versi lungo e tortuoso. Oggi, seppur tra mille criticità, si può vedere a cosa tutto questo ci ha portato.
Chiedersi “come funzioni il sapere” è una domanda, a mio avviso, abbastanza complessa.
La “gnoseologia”, branca della filosofia, particolarmente in voga nel XVIII secolo e di cui fecero parte maestri del pensiero occidentale come Immanuel Kant e David Hume, che si occupava di studiare il processo conoscitivo si chiese per lungo tempo se fosse possibile conoscere realmente le cose. Come molti interrogativi di tipologia metafisica, la risposta rimase sospesa quando, con gli sconvolgimenti politici, economici e sociali del primo ‘800, le raffinate menti dei pensatori trovarono altre questioni a cui dedicarsi. L’unica cosa che è certa è che contemporaneità è sempre più basata sul dominio del sapere, sulla capacità dell’essere umano di conoscere il reale (o, per restare fedeli a quanto disse David Hume, quello che si ritiene essere reale). In tal senso si è visto, dagli anni ’50 ad oggi, un graduale processo di allungamento dell’età scolare e di innalzamento della qualità dello studio.
Michele Coppino, padre dell’omonima riforma scolastica datata 1877. Secondo molti, il padre della pubblica istruzione italiana (fonte: Wikipedia)
A riprova di ciò basti pensare che, nel 1859, l’allora Ministro della Pubblica Istruzione del Regno di Sardegna fissò l’obbligo scolastico a due soli anni. Già vent’anni dopo il suo successore, Michele Coppino, propose una legge entrata in vigore il 15 luglio del 1877, che innalzava l’obbligo scolastico da due a tre anni, e introduceva una forma di multa per le famiglie che disattendevano l’obbligo.
Ci vollero decenni perché questa e le altre riforme successiva venissero applicate e si riuscisse veramente a passare da una scuola elitaria a una forma di reale istruzione delle masse. Oggi, seppur con le innegabili criticità, il sistema della Pubblica Istruzione italiano è tenuto a garantire a tutti un’istruzione fino al compimento dei 16 anni di età, rendendo di fatto obbligatoria per tutti la licenza media. Si è approdati, addirittura, negli ultimi settant’anni, a delle vere e proprie “università di massa”.
Anche se è passato un secolo e mezzo da quanto l’istruzione era un appannaggio delle classi più alte, ed è innegabilmente aumentato il numero di diplomati e laureati nel nostro Paese, ci si può ancora dire lontani dall’aver estinto il problema.
Come testimoniato dall’ISTAT, l’Italia è terza in Europa per tasso di abbandono scolastico, cioè studenti che interrompono gli studi senza aver conseguito il diploma di fine ciclo: siamo al 12,7%. Dietro di noi solo Spagna (13,3%) e Romania (15,3%), con cifre ben lontane dal 9% di media europea e una situazione che, alla luce dei progressi conseguiti dai tempi dell’Unità, fa sì gioire, ma anche riflettere sui “compiti a casa” che dovranno essere fatti per domani.