Non basta certo la vocazione. Ci vogliono anche competenze, professionalità, ma soprattutto intelligenza e umiltà per far uscire dalle secche un paese malato, sempre più in affanno dopo il collasso del sistema politico dei primi anni novanta del secolo scorso. Da allora, si sono costruite deboli e fragili aggregazioni partitiche tra populismo e qualunquismo, tra vecchie e nuove identità politiche, il tutto in assenza di una visione strategica e portandosi dietro grandi e gravi interrogativi di natura culturale, economica, politica, sociale ai quali solo molto parzialmente, e a volte furbescamente, si è cercato di rispondere. È sufficiente scorrere velocemente le vicende politiche italiane, ma il discorso si può estendere all’Europa se non a tutto l’Occidente, degli ultimi 30 anni, a partire proprio dal crollo del Muro di Berlino, per rendersi conto dei molteplici nodi attuali irrisolti, che vanno ben al di là della competizione – sia pur legittima – tra partiti conservatori e progressisti.
Esiste una classe dirigente (non solo, sia chiaro, quella afferente al ceto politico) in grado di affrontare questioni di portata così vasta? Pur riconoscendo l’esistenza di isole di eccellenza nei vari settori e rifiutando qualsiasi semplicistica visione catastrofista del nostro paese, siamo altresì convinti che soprattutto la politica si debba attrezzare per portare l’Italia sui giusti binari.
Questo è il senso della Scuola di formazione politica diretta da Massimo Cacciari, la cui prima edizione si è tenuta nel 2018, dove si affrontano in maniera non convenzionale, ma con rigore scientifico e metodologico, temi scomodi e di frontiera e verso i quali si adotta un approccio franco, diretto, per nulla assimilabile al conformismo culturale di gran parte della politica nostrana, troppo spesso affezionata a conservare con nostalgia schemi e modelli culturali di una politica che non c’è più.
La costruzione di una nuova leadership politica (dal leader al soggetto politico) passa prima di tutto dalla condivisione di un’agenda per affrontare “idealmente e pragmaticamente” le grandi e gravi questioni sul tappeto, nella consapevolezza di poterle risolvere.
Solo così si potrà fare riferimento all’etica della responsabilità da cui i politici spesso fuggono.