Un inseguimento rocambolesco per le vie di Roma, un’auto in fuga che semina il panico tra i passanti e diverse vetture danneggiate prima dello scontro finale con la pattuglia della polizia. Uno scenario ormai non raro nelle cronache urbane, ma che solleva dubbi legali e civili: in questi casi, l’intervento degli agenti è sempre legittimo? E chi risponde dei danni?
A rispondere è la Corte di Cassazione Civile, Sezione III, con l’ordinanza n. 4963 del 25 febbraio 2025, destinata a fare giurisprudenza. I giudici hanno stabilito che l’operato della pattuglia, pur culminato in un incidente, non può essere qualificato come un semplice sinistro stradale, ma va inquadrato nell’ambito di una operazione di pubblica sicurezza.
Nel caso esaminato, l’auto inseguita aveva già provocato danni a più veicoli e messo in serio pericolo l’incolumità pubblica. La polizia, intervenuta per fermarla, ha deciso di bloccarla speronandola. Una manovra rischiosa, sì, ma – secondo la Corte – necessaria e proporzionata alla minaccia in atto.
“Non si tratta di un atto ordinario o di un errore di guida – scrivono i giudici – ma di una scelta operativa compiuta nell’esercizio delle funzioni istituzionali degli agenti, finalizzata a tutelare la collettività”.
La sentenza ha anche chiarito che gli agenti non hanno agito per salvare sé stessi, ma per prevenire un danno maggiore alla comunità, escludendo quindi la configurazione di uno stato di necessità individuale.
Un punto fondamentale, specie in un contesto dove l’opinione pubblica è spesso divisa tra chi invoca fermezza e chi teme gli abusi. In questo caso, la giustizia ha tracciato un confine chiaro: l’inseguimento rientra nella sfera della sicurezza pubblica e, se condotto con criteri di proporzionalità e urgenza, è pienamente legittimo.