Intervista esclusiva
Nato il 17 Ottobre 1948 a Shizuoka, Prefettura di Shizuoka, Giappone.
Laureatosi alla prestigiosa Università di Komazawa nel 1971.
Il Maestro Takeshi Naito nel 1970 è stato campione nazionale universitario, nonché Capitano della squadra dell’Università di Komazawa e, nello stesso anno, entrò a far parte di una squadra selezionata dalle università giapponesi che partecipò a competizioni tenutesi in 8 paesi europei.
Nel Marzo 1977 arriva in Italia su invito del Maestro Hiroshi Shirai
Oggi è Kokusai Shihankai JKA International, ottavo Dan JKA World Federation. Si precisa che al mondo, ad oggi esistono solo 15 persone che hanno il grado di 8° e 9° dan JKA
Incontriamo il Maestro durante lo stage internazionale organizzato dalla JKA WF Italia a Inverigo (Co), nei giorni 5 e 6 Ottobre 2024
Maestro Naito. In che anno e per quale motivo ha iniziato a praticare karate?
“Avevo 15 anni, ero sempre in competizione con mio fratello maggiore. All’epoca praticavamo tutti e due judo, ma io non riuscivo mai a batterlo. Allora decisi di praticare anche il karate, in modo da poterlo superare, ma nonostante questo non riuscii nel mio intento. Mio fratello maggiore rimaneva più forte di me”.
Nella risposta del Maestro traspare un fugace sorriso, forse di nostalgia per i tempi passati della giovinezza.
Che cosa rappresenta per Lei la pratica del Karate?
“La tecnica del karate è un mezzo per migliore se stessi.
Nella vita la tecnica può servire a poco e nulla, ma attraverso la pratica, ci si confronta sia con gli errori sia con i successi.
Il karateka acquisisce sicurezza e consapevolezza delle proprie capacità, inoltre capendo le proprie debolezze ed accettandole, trova il modo di superale.
Nascondere le proprie debolezze non serve a nulla, fare bella figura è come indossare una maschera destinata presto o tardi a cadere. Tutto questo serve a migliorare!
Cosa differenzia il karate tradizionale da quello sportivo?
“Risponderò con un esempio.
In Giappone tutti studiano le tecniche di kihon (fondamentali), kata (forma) e kumite (combattimento).
Si studia un karate a 360°, non solo quello che ci piace, ma anche quello che non ci piace. Non esiste una specializzazione come può essere nel karate sportivo, dove la prestazione atletica è messa al primo posto e quindi lo studio viene limitato al solo “sapere” tecnico.
Attraverso questi insegnamenti è possibile migliorare se stessi, acquisendo coraggio e fiducia in se stessi”.
Può esistere quindi un legame fra karate e vita quotidiana?
“Certamente! Anche se in apparenza può sembrare severo, chi è passato attraverso questo percorso, è in grado di trasferire ai propri allievi sicurezza e amore, indispensabili per la formazione dell’individuo; altrimenti si corre il rischio di insegnare solo un gesto puramente tecnico”.
Secondo Lei che differenza c’è tra il karate praticato in occidente e quello praticato in Giappone, dal punto di vista ideologico?
“Come avevo già detto in precedenza, lo studio che viene fatto in Giappone non è solo un trasferimento da Maestro ad allievo di pura forma, di pura tecnica.
In Giappone si pone l’attenzione su ciò che non si vede. Cosa c’è dietro la forma? Paura? Coraggio? Sicurezza?
Un praticante che oggi non è particolarmente in forma? Questa è la nostra cultura: essere severi con noi stessi, non contro gli altri”.
Siamo noi i primi avversari di noi stessi! Concetto espresso sempre dal Maestro durante le sue lezioni.
Lei ha formato tanti agonisti, vittoria o sconfitta che cosa possono rappresentare per un agonista?
“A volte si vince, altre volte no. Non sempre però una vittoria è definitiva; a volte dietro una sconfitta si può nascondere un successo; per esempio affrontando, seppur con timore, un avversario che si riteneva troppo forte e quindi riuscendo a superare i propri timori.
È anche vero però il contrario. Indipendentemente da tutto si continua a fare pratica per superare sé stessi una volta finita la competizione”.
Genitori-figli-karate, secondo lei che legame possono avere questi tre elementi?
“L’importante è avere lo stesso obbiettivo, allora non ci sono problemi. Tutto deve essere finalizzato alla crescita e sviluppo dell’individuo.
Se i genitori sono contrari, o arrivano ad opporsi, agli obbiettivi che i figli si sono prefissati, allora, questo conflitto risulterà nocivo per la pratica del karate, ma soprattutto per il rapporto fra genitori e figli.
Piccola riflessione: a breve si terranno i mondiali in Giappone, Lei cosa ne pensa?
“Nel 2020 a causa dell’inizio della pandemia del Covid 2019, non è stato possibile continuare a praticare normalmente Karate, come tante altre attività, fino a giugno 2022.
Molte persone hanno sofferto sia per le restrizioni attuate per arginare la pandemia, sia per la perdita di parenti e amici.
Indipendentemente dai risultati bisognerà fare tesoro di queste esperienze per un futuro migliore”.
Ringraziamo il Maestro Naito per il tempo a noi dedicato e per il suo continuo e prezioso impegno nel divulgare il Karate Tradizionale della JKA World Federation.
Arigatou gozaimasu Naito Sensei. Oss!
foto Copertina by Barbara Viale