Dalla deportazione in Siberia, all’esodo dalla Moldavia, all’opera letteraria in rumeno e tradotta in italiano.
Nel cuore della Moldavia, nel 1965 ha visto la luce Lilia Bicec. Le sue radici affondano in una storia tormentata: figlia di genitori sopravvissuti alla deportazione in Siberia, Lilia cresce con un profondo senso di resilienza e un’insaziabile sete di conoscenza.
La sua strada comincia all’Università Statale di Chișinău, dove Lilia si avventura nel mondo del giornalismo. Per undici anni lavora instancabilmente tra le pagine dei giornali e le frequenze radio, contribuendo a plasmare il panorama mediatico moldavo; ma il destino ha in serbo per lei una svolta drastica. Nel 2000 Lilia prende una decisione coraggiosa: lasciarsi tutto alle spalle e intraprendere un viaggio verso l’Italia, nel periodo in cui la Repubblica Moldova registrava un esodo femminile senza precedenti.
Arriva nella penisola clandestinamente, come tante altre donne che in quel periodo hanno intrapreso il cammino degli stranieri, lavorando come badante.
Nel 2009 Lilia fa il suo debutto letterario con “Testamento necitit”, un’opera straordinaria scritta in rumeno e presto tradotta in italiano col titolo “Miei cari figli, vi scrivo” (Einaudi, 2013). Con questo libro Lilia getta un ponte tra due culture, incantando i lettori con la sua prosa evocativa.
Nel 2010 fonda l’Associazione italo-moldava “Moldbrixia”, un’organizzazione che promuove legami culturali tra Italia e Moldavia. A fianco di questa iniziativa Lilia lancia il giornale bimestrale “Moldbrixia News”, scritto sia in italiano che in rumeno, offrendo supporto e sostegno alle donne provenienti dall’Europa dell’Est che cercano una nuova vita in Italia.
La sua penna continua a danzare tra le parole e nel 2014 contribuisce con il racconto “Donne, lavoro ed educazione: un esempio dall’Europa dell’Est” all’antologia letteraria “Donna e…” (Cairo Editore). L’anno successivo il suo racconto “The maize porridge of longing” appare nell’antologia letteraria “Novel of the world” (Mondadori), in occasione dell’EXPO di Milano. Nel 2015 il suo toccante racconto “Moldova” è incluso nell’antologia letteraria “La tela di Penelope”.
Lilia non si limita, però, alla scrittura. Nel 2016 diventa il volto di un documentario commovente intitolato “C’è un posto per me nel mondo”. Questo straordinario film, basato sul libro “Miei cari figli, vi scrivo”, esplora il dramma dell’immigrazione femminile dall’Europa dell’Est e viene trasmesso su Rai Tre
Negli anni successivi Lilia Bicec continua ad offrire al pubblico la sua scrittura affascinante. Con la casa editrice Another Coffee Stories pubblica, nel 2021, il romanzo “Boomerang” e, nel 2022, “DecaSguardi”. Il suo ultimo romanzo, “Amore Siberiano”, è stato accolto con entusiasmo dalla critica e dai lettori, consolidando il suo status di autrice di spicco che attraversa confini e culture.
Natational Daily Press l’ha intervistata.
Signora Bicec-Zanardelli, il suo percorso di vita è davvero straordinario. Partiamo dalle origini: come è stata la sua esperienza personale di migrazione dalla Moldavia all’Italia? Cosa l’ha spinta a fare questo passo così importante?
Non è stato facile decidere di lasciare tutto quello che avevo di più caro e prezioso e partire per una meta sconosciuta, ma quando ho visto che il mio popolo doveva scegliere tra comprare il giornale per cui lavoravo o il pane, mi sono detta che non potevo più andare avanti così. Se un paese che aveva ottenuto l’indipendenza nel 1991, nel 2000 era ancora al punto di partenza, allora toccava a me pensare al futuro dei miei figli. La mia esperienza personale è stata bruttissima: sono arrivata clandestinamente, mi hanno fermata al confine tra la Repubblica Ceca e la Germania, ammanettata e portata in una prigione temporanea. Dopo 24 ore sono stata rilasciata, ma io non dimenticherò mai il freddo delle manette sui miei polsi… Alla fine ho tentato una seconda volta e sono arrivata in Italia la vigilia di Natale del 2000.
Lei ha vissuto la separazione dai suoi figli come un momento estremamente doloroso. Come ha fatto a gestire questa lacerazione e a mantenere i legami con la sua famiglia durante la sua permanenza in Italia?
Lavoravo come giornalista e i miei figli erano abituati al fatto che io non fosse a casa per un giorno o due, ma così a lungo, no. Quando sono partita per Italia è stato tutto diverso. Appena mi sono allontanata da casa la mancanza dei miei figli ha iniziato a tormentarmi.
Di conseguenza, ho iniziato a scrivere loro delle lettere; era come un grido che si amplificava, fondendosi con le migliaia di voci di madri costrette ad abbandonare in patria tutto ciò che amavano di più per andare all’estero. Mi sentivo in colpa per aver lasciato anch’io i miei figli e forse, inconsciamente, desideravo riscattare quell’affetto bidimensionale, ma non credo che noi mamme che abbiamo dovuto abbandonare i nostri figli a casa potremo mai riempire quel vuoto. Allo stesso tempo, scrivevo quelle lettere senza alcuna intenzione di pubblicarle, ma avevo a cuore che i miei figli un giorno le leggessero e potessero conoscere la verità su di me e sul perché ero stata costretta ad emigrare.
Parliamo dei suoi libri. Ha scritto opere letterarie che affrontano il tema delle migrazioni femminili. Certamente l’argomento la tocca in prima persona, ma quali messaggi desidera trasmettere attraverso la sua scrittura?
All’inizio della grandissima ondata di emigrazione femminile, il fenomeno dell’esodo veniva affrontato dai mass media attraverso notizie clamorose e chi rimaneva a casa, mi riferisco alla Repubblica Moldova, non aveva un quadro veritiero della vita dei propri cari emigrati all’estero per trovare lavoro. Ho cercato, in primis, di presentare al lettore il volto reale dell’emigrazione, di spingerlo a pensarci bene prima di partire, perché in un paese straniero non ti aspetta nessuno e ogni persona emigrata deve ricominciare tutto da capo, da zero. Volevo tanto trasmettere al lettore italiano anche la storia del mio paese, chi siamo e quale è la nostra vera storia. Con il secondo libro, più che un messaggio, ho voluto trasmettere soprattutto il grido di dolore dei bambini rimasti da soli a casa, parlare delle loro condizioni di vita, perché si registravano continuamente incesti e suicidi… Il messaggio generico dei primi due libri sono la verità dell’emigrazione e gli effetti collaterali.
“Miei cari figli, vi scrivo” è diventato un film documentario. Racconti un po’ di questa esperienza e qual è il messaggio principale che ha voluto condividere attraverso quest’opera cinematografica.
Essere la protagonista del documentario “C’è un posto per me nel mondo” è stata l’esperienza più bella che mi potesse succedere. Lavorare con la troupe di Movie, Movie per Rai 3 mi ha fatto sentire che davvero nel mondo “c’è anche un posto per me”. Questo documentario racconta dell’esodo femminile dall’Europa dell’Est, un fenomeno mai conosciuto.
L’immigrazione è sempre esistita, c’è e sempre ci sarà, ma che emigrassero le donne, lasciando i figli a casa, non era mai successo.
Più che un messaggio credo che attraverso il libro “Miei cari figli, vi scrivo”, e di conseguenza anche attraverso il documentario “C’è un posto per me nel mondo”, ho provato a scrivere un’ode per le donne costrette ad abbandonare tutto e andare a lavorare in paesi stranieri.
Parliamo di “Boomerang”, il suo libro che tratta dell’impatto dell’emigrazione sulle famiglie e sui figli. Ci può raccontare qualche storia o messaggio chiave che emerge da questo libro?
Nel libro “Boomerang”, sotto forma di diario, racconto degli effetti negativi dell’immigrazione femminile dall’Europa dell’Est. Attraverso la narrazione delle vicende drammatiche vissute da Elena, la protagonista del romanzo, riportando i suoi pensieri e le confessioni affidate al suo diario, non solo cerco di mandare un messaggio ai genitori affinché siano responsabili della vita e del futuro dei loro figli, ma anche di mettere in guarda la società da soprusi ed ingiustizie verso i bambini ed i giovani. La protagonista, Elena, è molto più di un personaggio di finzione letteraria: la sua voce, infatti, è reale poiché il suo grido di dolore è quello di almeno altri 120 mila bambini che hanno sperimentato e continuano a sperimentare le asprezze e le ingiustizie di una società che non li ascolta e non li protegge.
Nel suo romanzo “Amore siberiano” ha trattato gli orrori del massacro dei prigionieri di guerra. Come ha condotto la ricerca storica per questo libro e quali erano i suoi principali obiettivi nel portare alla luce questa storia?
Sì, “Amore siberiano” inizia proprio con il racconto di un drammatico e taciuto episodio della Seconda Guerra Mondiale: il massacro dei detenuti del Lager 33 in una città del nord della Repubblica Moldova. Prigionieri di guerra, alleati del Reich, che dopo 86 giorni di calvario sono stati fucilati. Gli storici parlano di circa 10 mila uomini, altri dicono che furono molti di più. Grazie alle testimonianze e alle voci delle poche persone che sono riuscite a evadere, un pezzo di storia ha iniziato ad essere ripristinato, nonostante molto tardi, dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Ogni singolo evento narrato nel libro ha un riscontro reale con tutto quello che ha segnato il Novecento.
Nonostante il dettagliato racconto fatto da mio padre sulla vita, sua e di mia nonna, vissuta in Siberia nei dieci anni della loro detenzione, per convincermi degli orrori del Comunismo e del Fascismo, così da potermi adeguatamente documentare, ho voluto infatti recarmi personalmente ad Auschwitz in modo da essere sicura che ogni singolo dettaglio riportato nel libro corrispondesse alla realtà storica. Il mio è un romanzo che racconta la storia di chi è rimasto solo, disperso, abbandonato, simbolo di chi da laggiù non ha più fatto ritorno.
“Amore Siberiano” affronta un episodio poco noto della Seconda Guerra Mondiale. Perché ha scritto di questo argomento e cosa sperava di comunicare attraverso il romanzo?
La Repubblica di Moldova ha una storia molto intricata. Dal Medioevo fino al 1812, quella che oggi si chiama anche Moldova formava, insieme alla regione della Moldova della Romania, un unico stato, il principato di Moldova. Nel 1812, tuttavia, la Russia zarista ha occupato il territorio tra il fiume Prut e il Nistru e ha cominciato a chiamarlo con il nome di Bessarabia (Gubernia di Bessarabia). Dopo quasi 100 anni di dominio russo, la Bessarabia si è unita di nuovo alla Romania Grande. Ma dopo il patto Molotov-Ribbentrop (1939), la Russia si è ripresa nuovamente la Moldova di oggi. Nel 1941 la Bessarabia è stata liberata, ma è durata solo tre anni perché nell’agosto del 1944 l’esercito sovietico l’ha occupata di nuovo. Ha liberato la Repubblica Moldova dal fascismo, ma il paese ha pagato con tante vite umane, tra cui si registra anche la fucilazione dei prigionieri di guerra. Facendo varie ricerche ho scoperto che tra i detenuti c’erano anche italiani, non solo tedeschi, magiari, moldavi e rumeni, e allora ho pensato che era un mio dovere civile approfondire la tematica e scrivere, rivendicare il valore di testimonianza storica, nella speranza che il sacrificio di tanti esseri umani dimenticati potesse essere di monito alle future generazioni, affinché simili orrori non abbiano ad accadere mai più.
Però non è stato così: da più di un anno il mondo sta vivendo un’altra guerra nel cuore dell’Europa. C’è un passaggio nel libro che dice: “La città, sfigurata dai bombardamenti, si teneva a malapena in piedi e respirava affannosamente attraverso i muri sforacchiati dai proiettili…”. Non ho mai pensato che quello che ho descritto nel romanzo potesse ripetersi, quasi uguale, come nel passato: “Una tregua… Calava pesantemente sulle macerie, fra le quali i cani abbandonati vagavano in cerca di cibo e di un riparo…”.
Oltre alla scrittura, lei è coinvolta in progetti culturali e opera come mediatrice linguistica. Come ha contribuito a promuovere la cultura moldava in Italia e in altre realtà culturali?
Attraverso i miei libri ho tentato di creare un ponte fra questi due Stati che hanno avuto tanto in comune, se guardiamo al periodo dell’Impero romano in cui la Moldova era detta Dacia, oppure al tempo dell’immigrazione italiana verso l’Unione Sovietica…
A parte il libro “Deca Sguardi”, le altre tre opere fanno veramente da ponte: è un via vai tra la Moldova e l’Italia con passaggi sulla storia di entrambi i paesi. La prima parte di “Boomerang” si svolge in Moldova, la seconda in Italia. In “Amore siberiano” il protagonista è Vittorio, prigioniero di guerra di origine italiana, che riemerge dalla fossa comune in cui è gettato dopo l’esecuzione trovando riparo presso la casa di Maria, la levatrice del paese. Quindi il mio lettore, sia rumeno che italiano, si ritrova a viaggiare tra due paesi.
Infine, quali sono i suoi progetti futuri nella scrittura e nella promozione della cultura moldava in Italia?
In riferimento alla promozione della cultura moldava in Italia, il progetto più recente riguarda i corsi di lingua romena con i ragazzi delle famiglie miste, e non solo, in cui insegno non solo la lingua romena, ma soprattutto la storia e la cultura del paese da cui provengono i loro genitori.
Relativamente alla scrittura, mi piacerebbe scrivere anche per i bambini.