Dall’1 al 4 ottobre al Teatro Fontana di via Boltraffio a Milano, si recuperano alcune repliche che dovevano andare in scena prima dell’estate, dello spettacolo: L’operazione, lo spettacolo da vedere… per forza, di e con Rosario Lisma che insieme a Fabrizio Lombardo, Andrea Narsi, Alessio Piazza e Gianni Quilico ripercorrono in una “commedia cult” la storia di quattro amici/attori, alle prese con la messa in scena di uno spettacolo che, secondo loro, rappresenterà la svolta per le rispettive carriere a patto che il critico teatrale più influente del momento ne parli bene. La commedia è un crescendo molto ritmato di sketch, colpi di scena e un finale alquanto movimentato e… rivoluzionario. Lisma & company si muovono brillantemente e con molta maestria sul palcoscenico “rivestito” di una scenografia essenziale e incisiva… stile anni ’70? Da vedere e apprezzare sicuramente. Alla fine dello spettacolo abbiamo incontrato Rosario Lisma con il quale abbiamo scambiato qualche battuta.
Rosario come nasce questa idea di teatro?
Questa idea di teatro e soprattutto questa commedia, nasce tanto tempo fa quando ero un giovane attore ed ero molto arrabbiato rispetto alle regole del sistema. Con questo testo ho cercato di sublimare la rabbia nel lavoro e quindi ho scritto una commedia che parlasse proprio delle cose, delle storture, non solo del teatro italiano ma della società italiana e del rapporto che si ha con il potere, attraverso una commedia che raccontasse queste cose con leggerezza e con spirito.
Questo testo sembra scritto in quest’ultima settimana, in virtù dei fatti politici riferiti al risultato elettorale del 25 settembre scorso…
Ma, in realtà sembra fatta per tutti gli avvenimenti perché il potere esiste sempre al di là degli ultimi esiti elettorali. Però in effetti c’è sempre, come dire, un mordente legato all’attualità. Sempre.
Nelle tue opere e nelle parti da te interpretate un qualcosa di politico c’è sempre e in tal senso, a tuo avviso, che direzione prende il teatro nel nostro paese?
Facevo una riflessione proprio di recente, che anche noi lavoratori del teatro, dovremmo farci un congresso. Anche noi del mondo del teatro, del cinema, dell’arte in generale, dovremmo capire cosa vogliamo fare, perché lo vogliamo fare e a chi vogliamo rivolgerci. Spesso è troppo comodo cantarcela e suonarcela tra di noi. È comodo ma è soprattutto infruttuoso e sterile infatti, poi, vediamo che tante volte il pubblico diserta le sale, sia al cinema che al teatro, tranne qualche rara eccezione. Con questo voglio dire che molto spesso non sono loro ad avere torto, forse siamo noi a doverci fare un esame di coscienza.
Possiamo dire che una mano, comunque, dall’esterno, dall’indirizzo politico, è necessaria?
Si certamente. Noi siamo la nazione, da sempre, con la percentuale di Pil dedicata alla cultura più bassa rispetto alla media europea e quindi, questo la dice lunga. Dai piccoli comuni fino alle stanze ministeriali, chi è preposto alla cultura spesso non ha mire politiche particolari però si comporta sempre come un “capo rione” che spesso ci capisce poco e va a finire che la “cultura” è considerata sempre come qualcosa di superfluo. E invece poi, senza la cultura, senza la poesia, la letteratura, senza l’arte, come al solito ci si impoverisce e si fanno spesso scelte sbagliate.
Questa tua commedia gioca prevalentemente sulla questione che se non rientri nelle grazie del critico giusto, mai ti sarà riconosciuto, diciamo cosi, il merito artistico. Oggi come stanno le cose?
Oggi direi che questo atteggiamento esiste molto meno, ma quando l’ho scritta c’era tantissimo ed era proprio cosi. C’era un critico (non si fanno nomi, ndr) che essendo molto autorevole, riconosciuto come sicuramente il migliore, governava, diciamo cosi, in maniera assolutamente arbitraria e indirizzava a suo piacimento. Oggi questo “costume” c’è meno, anche se ci sono sempre delle mode, ci sono sempre le cose fatte per compiacere qualcuno, per averne un vantaggio. E questo, a mio avviso, è abbastanza ignobile, soprattutto perché se fai questo mestiere, devi farlo, credo, con una certa purezza e onestà intellettuale. Se non c’è questo e fai le cose perché devi compiacere qualche critico, magari neanche superpotente, ma che ti può servire o qualche produttore, allora mi pare proprio che sia il segno della decadenza dei tempi.