Dall’analisi complessiva della produzione letteraria di Antonio Gramsci risulta evidente il costante interesse che il filosofo ha per i problemi educativi e scolastici, che in realtà configurano un modo del suo interesse politico e sempre si riallacciano all’obiettivo fondamentale del suo pensiero e della sua azione: la creazione in Italia di una società nuova, che le masse educate nella pratica rivoluzionaria devono realizzare prima e dopo la conquista del potere attraverso la lotta di classe operaia, di cui la riforma democratica della scuola è un momento essenziale.
Analizzando e anche semplificando, dunque, l’attualità di Gramsci è da ricercare tutta nel concetto di rivoluzione culturale che produce, dai primi momenti della vita scolastica, la formazione dell’uomo di domani per un concetto di Stato trasformato in termini democratici e anche inclusivi e di integrazione, come oggi diremmo. Per raggiungere questo risultato si rende necessario, allora, che fin dai primi momenti del processo educativo e formativo, lo studente venga stimolato prima di tutto alla curiosità e poi all’approfondimento di tutto quanto lo circonda (l’ambiente), al fine di poter produrre, in maniera autonoma, dapprima una critica allo stato di cose esistenti, successivamente, quantomeno, un tentativo di trasformazione in termini di miglioramento e progresso.
In tal senso, è necessario comprendere la polemica gramsciana contro la spontaneità dell’educazione collegata a una diversa concezione della libertà, tratto distintivo del pensiero del filosofo sardo.
La libertà non coincide con la spontaneità e non configura momenti di pretesi diritti naturali. Al contrario di Rousseau, per Gramsci non esistono diritti naturali, metaforici, che l’individuo-persona ha avuto da un’investitura extra-storica e che conserva e sviluppa nella società, perché questo equivarrebbe a privilegi, essendo il prodotto di forze non storiche e non potendo essere generali.
Il concetto di libertà, inteso come abbandono del “fanciullo” ai suoi momentanei interessi, è pericoloso per una sana e consapevole educazione, perché ogni educazione presuppone sempre l’opera della generazione adulta che deve guidare i ragazzi verso finalità concrete, per realizzare le quali si richiede sforzo, disciplina interiore, e cioè, il superamento della spontaneità e della libertà intese in senso naturale.
Il concetto di libertà deve essere esaminato in relazione con quello di autonomia, intesa come capacità di autocontrollo, di autodeterminazione individuale, base necessaria per un solido fondamento della vita sociale. Libero è chi è padrone di se stesso, cosciente dei suoi doveri e diritti e capace di condursi autonomamente nella vita. La libertà, dunque, non è un dato immediato, come dichiarano i teorici dei diritti naturali, ma il risultato più importante dell’educazione, una conquista individuale ottenuta con l’assoggettamento delle passioni e degli istinti. La libertà gramsciana è legata all’autorità, alla disciplina intesa in modo attiva e spirituale. La disciplina, pertanto, non deve essere concepita come una imposizione esterna e contraria agli interessi dell’educando, ma come mezzo che tende a limitare, “L’arbitrio e l’impulsività irresponsabile”, creando, “Una consapevole e lucida assimilazione della direttiva da realizzare”. Antonio Gramsci, quindi, è per una educazione disciplinata ma non coattiva, un concetto questo che non esclude l’autoeducazione che consiste nel far prendere coscienza al bambino di ciò che viene dato dall’esterno in modo che lo faccia suo.
Anche Hessen è del parere che l’esercizio dell’autorità sia necessario per portare il “fanciullo” dalla sua congenita anomia alla conquista dell’autonomia: L’uomo nasce anomico, per poi svilupparsi, traverso lo stadio dell’eteronomia, in un essere autonomo”. Anche in questo caso, come è evidente, troviamo la negazione del concetto di libertà naturalistica di Rousseau e l’affermazione che la disciplina rappresenta un momento necessario per aiutare il bambino a scoprire e a sentire la legge morale, la propria libertà che non si configura, quindi, come un dato naturale ma come una conquista che si realizza nella storia.
Ancora per Sergej Hessen, il processo di sviluppo della personalità, è parallelo al suo, cioè il bambino, inserirsi negli obiettivi settori della vita sociale e della cultura spirituale, nonché del mondo naturale.
Come è evidente, allora, la prospettiva dell’attivismo è in questo modo rovesciata perché, mentre da una parte ci si ferma a considerare i bambino per se stesso, dall’altra si vede nel bambino, l’uomo di domani. Ecco allora che la personalità acquista sempre maggior valore a mano a mano che ci si allontana dal mondo infantile e le attitudini e gli interessi non si considerano come dati originali, ma come il risultato dell’opera educativa.
Quando la personalità sarà formata allora si esprimeranno in maniera sicura e duratura le: “Inclinazioni più profonde e permanenti perché nate a un livello più alto di sviluppo di tutte le forze vitali”.