Attenzione. Non passate per quella via. È la più spaventosa di Milano
Milano ci sorprende sempre, anche in questo caso divenendo palcoscenico del primo serial killer italiano.
La via più spaventosa di Milano
Pare sia la più stretta di Milano, certamente è la più inquietante. Meritatamente. Qui ci abitava Boggia, forse ci abita ancora. Qualcuno dice che il vento gelido che spesso spira in vicolo Bagnera altro non sia che il suo respiro.
Il vento del vicolo
Se lo sentite, alzatevi il bavero e veloci andate dove dovete andare. Non guardatevi intorno e, soprattutto, se improvvisamente qualcuno che prima non c’era si accosta a voi con modi gentili…una sola cosa dovete fare, scappare! Con modi gentili, garbato così lo descrivono le cronache dell’epoca e uno scritto del processo. Un uomo calmo, timorato di Dio. Conoscitore di più lingue. Un uomo che sapeva come conquistare la fiducia delle persone.
Antonio Boggia
Parliamo di Antonio Boggia. Il primo serial killer d’Italia e della città, un altro primato per Milano che sempre ci sorprende. Il Boggia (scusate l’articolo ma qui a Milano si usa) non nasce esattamente a Milano, un po’ più in là. A Urio, sul lago di Como che poi è anche il lago di Milano. È il 1799 e, a posteriori, possiamo dire che la madre poteva evitare di partorirlo.
Qualcuno di voi certo conosce la storia ma credo che molti di più, no. È quindi per questi che apriamo il libro delle storie lugubri e orrende, ne scorriamo l’indice e per ora ci fermiamo a stretta Bagnera. Così si chiamava prima di diventare vicolo.
Il Boggia a Milano
Il Boggia, dopo un certo girovagare per il nord Italia, si scoprirà poi per motivi di giustizia, arriva a Milano. La conoscenza del tedesco lo aiuta e così è assunto come fochista a palazzo Cusani, in allora sede del comando militare austriaco. Lavora con zelo e si fa benvolere da tutti. Il Boggia frequenta inoltre le aste giudiziarie dove insegue affari convenienti e si cimenta anche con lavori di carpenteria e muratura.
La tribù indiana dei Wiyot
Poi la sua storia ha un’improvvisa e imprevista svolta. È mattina presto, Milano è avvolta da una pesante nebbia che l’avvolge impietosa. Tutto sembra irreale, lontano. È il 26 febbraio del 1860, lo stesso giorno in cui, al di là dell’oceano, alcune decine di coloni bianchi sterminano circa 250 persone appartenenti alla tribù indiana dei Wiyot. Un uomo procede insicuro verso la sede del Tribunale civile e criminale provinciale.
La scomparsa della vedova
Vuole denunciare la scomparsa dell’anziana madre, la vedova Ester Maria Perrocchio. Si chiama Giovanni Maurier, di professione pittore, sconosciuto ai più. Probabilmente è mosso da motivi di interesse e non da vera preoccupazione per la scomparsa della madre, incidentalmente proprietaria di un intero stabile in via Santa Marta, a due passi da stretta Bagnera. Stabile di cui il Boggia è diventato inspiegabilmente amministratore. Le indagini prendono avvio e presto emergono inquietanti elementi. Alcuni abitanti di stretta Bagnera giurano di aver visto uno strano andirivieni notturno con protagonista il Boggia che trascina sacchi e attrezzi vari.
Il giudice
Il giudice Crivelli, incaricato delle indagini, ordina vari sopralluoghi e durante uno di questi il corpo della Perrocchio è rinvenuto nella cantina utilizzata dal Boggia. È privo di gambe e braccia e questo fa il paio con la testimonianza di una persona che giura di aver visto il Boggia scendere le scale con una gerla molto pesante sulle spalle. Ma le sorprese non finiscono qui.
La cantina dei corpi mummificati
Altri corpi mummificati giacciono in quella cantina. Sono quelli di Angelo Ribbone e Giuseppe Marchesotti. Tutti uccisi a colpi di ascia e poi smembrati per diminuirne l’ingombro. Tutti si sono trovati sulla strada del Boggia che ha visto in loro delle prede capaci di fornirgli denaro. Ma l’avidità del Boggia è senza limiti; non solo tre omici certamente anche un quarto e forse altri di cui non si sono trovate prove ma solo vaghi indizi. In corso di processo emergerà anche un tentato omicidio a scopo di rapina.
Boggia lo scaltro
Un’abilità singolare e una capacità di persuasione straordinaria consentono al Boggia di circuire persone che ingenuamente gli rivelano di avere disponibilità economiche. È inoltre dotato di una scaltrezza notevole tanto d’architettare raggiri in cui coinvolge ignari notai e notabili vari.
Durante il processo il Boggia dapprima nega, poi non ricorda, infine confessa e tenta la carta della pazzia che anni addietro gli ha consentito di evitare una pena per tentato omicidio. Questa volta non serve. Il Tribunale emette la sua sentenza di morte. Il ricorso in Appello è respinto e così pure quello di terza istanza. Il Re nega la grazia.
Boia professionisti a Milano e Cesare Lombroso
A Milano un boia non c’è. I numerosi volontari sono scartati per ovvi motivi. Arrivano due professionisti, uno da Torino e uno da Parma. La sentenza è resa esecutiva l’8 aprile 1862 mediante pubblica impiccagione. È l’ultima sentenza di morte eseguita a Milano. Il cadavere di Antonio Boggia è sepolto subito nel cimitero del Gentilino presso il bastione di Porta Ludovica.
La sua testa è invece consegnata al Gabinetto Anatomico dell’Ospedale Maggiore per poi essere affidata agli esami del padre della criminologia, Cesare Lombroso.
Pare che questa parte del corpo dell’assassino ora riposi nel cimitero di Musocco, non si sa dove…
Pare sia la più stretta di Milano, certamente è la più inquietante!