11 giugno 1289 Tra guelfi, in prevalenza fiorentini, e ghibellini, quasi tutti aretini, si combatte la battaglia di Campaldino, tra le località di Poppi e Pratovecchio, alla quale presero parte anche Dante Alighieri e Cecco Angioleri. La vittoria dei guelfi, dovuta soprattutto a Corso Donati, fu fondamentale per la progressiva affermazione dell’egemonia di Firenze sulla Toscana. La battaglia, ben presto trasformata da fatto storico in evento letterario ed artistico, divenendo soggetto privilegiato dei cronachisti dell’epoca che ne trattarono diffusamente, mentre la tradizione popolare la avvolse in un alone romantico e leggendario. Dante, che aveva partecipato personalmente allo scontro tra i fenditori guelfi al comando di Vieri De’ Cerchi, la ricordò nella Divina Commedia nel Canto V del Purgatorio, terzina Bonconte Da Montefeltro, “Qual forza qual ventura ti traviò sì fuor de Campaldino” e celebre resta la frase del poeta prima dell’impetuosa carica dei ghibellini aretini “Ebbi temenza molta”. Dalle fonti letterarie i fatti vengono spesso distorti, come accade nelle novelle di Emma Perodi –giornalista e scrittrice autrice di letteratura per l’infanzia– che li ambienta in un Casentino mitico e goticheggiante dove Aimeric di Narbonne muore in battaglia ed il suo fantasma si aggira ancora inquieto.
12 giugno 1575 Guglielmo il Taciturno sposa Carlotta di Borbone–Montpensier: nel 1571 la moglie precedente era stata dichiarata insana di mente, per cui Guglielmo si era separato da lei e il matrimonio era stato dichiarato nullo. Carlotta, la sua terza moglie, era una ex monaca francese molto conosciuta e popolare, e diede al re sei figlie femmine. Sempre nel 1575 Guglielmo fondò l’Università di Leida, la più antica dei Paesi Bassi. Il clima teso tra cattolici e riformati fu causa delle vicissitudini che portarono all’assassinio di Guglielmo D’Orange, infatti cattolico francese Balthasar Gèrard, strenuo sostenitore di Filippo II di Spagna, lo considerava uno dei peggiori traditori del re spagnolo e della fede cattolica, tanto da convincere Filippo a dichiararlo un fuorilegge e a promettere una taglia di 25000 corone per il suo assassinio. Gèrard decise che sarebbe stato lui a compiere tale azione e iniziò a viaggiare per i Paesi Bassi alla ricerca di Guglielmo. Nella speranza di avvicinarsi al Taciturno il più possibile, prestò servizio nel corpo militare del Governatore del Lussemburgo, Peter Ernst I Von Mansfield–Vorterot per due anni senza raggiungere il suo scopo, tanto che nel 1584 lasciò il servizio. In seguito si recò presso il duca di Parma Alessandro Farnese che non gli diede sufficiente credito e non lo appoggiò. Nel maggio 1584 decise di presentarsi a Guglielmo sotto le mentite spoglie di un nobile francese che doveva consegnargli il sigillo del conte di Mansfield. Di seguito Guglielmo lo inviò in Francia per donare il sigillo ai francesi in segno di amicizia, ma al suo ritorno Gèrard portò con sé due pistole: il 10 luglio prese un appuntamento con Guglielmo nella sua casa di Delft, oggi nota con il nome di Prinsenhof, e non appena si incontrarono, scaricò le pistole addosso a Guglielmo, uccidendolo. L’assassino fu catturato, processato e decapitato. Carlotta di Borbone era invece già deceduta per cause naturali nel 1582.
13 giugno 313 d. c. Costantino I e Licinio promulgano l’Editto di Milano, noto anche come editto di tolleranza o rescritto di tolleranza oggettiva. L’accordo era stato sottoscritto nel febbraio dello stesso anno dai due Augusti dell’impero romano in vista di una politica religiosa comune alle due parti dell’Impero e venne stretto in Occidente poiché il Senior Augustus era Costantino. Le conseguenze dell’editto per la vita religiosa nell’impero furono tali da farne una data fondamentale nella storia dell’Occidente. Infatti l’editto, firmato a Mediolanum, l’odierna Milano, durante il periodo in cui la città era capitale dell’Impero Romano di Occidente, concedeva a tutti i cittadini, quindi anche ai cristiani, la libertà di venerare le proprie divinità. Tecnicamente il termine editto sarebbe da considerarsi errato, in quanto Costantino e Licinio impartirono disposizioni ai governatori delle province romane affinché attuassero le misure prescritte nell’editto di Galeno del 311 che mettevano definitivamente termine alle persecuzioni. Secondo gli storici moderni i due imperatori si sarebbero incontrati a Milano solo per discutere, mentre le disposizioni sarebbero state scritte in Bitinia. Oltre a riconoscere la libertà di culto, l’editto milanese determinò l’obbligo della restituzione di tutti i beni, luoghi e possedimenti in precedenza tolti o confiscati ai cristiani durante il lungo periodo delle persecuzioni, obbligo valido anche per chi avesse acquistato o ricevuto in dono in modo legittimo questo tipo di beni. Da questo, in seguito, si sarebbe sviluppato il concetto di inalienabilità dei beni della Chiesa, che renderà intoccabili i possedimenti ecclesiastici, costituiti per lo più da terre.
14 giugno 877 Carlo il Calvo promulga il Capitolare di Quierzy, che introdusse il concetto di ereditarietà delle cariche feudali, ma non istituì, contrariamente a quanto si crede, la mera ereditarietà dei feudi, piuttosto regolò una pratica già diffusa, cioè la possibilità per il vassallo di lasciare alla sua morte il beneficium in eredità ai figli. Inoltre questo atto confermò come le funzioni di conte e vassallo fossero differenti l’una dall’altra. Quando la centralità del potere regio aveva perso efficacia nell’amministrazione del regno, determinando così un vuoto di potere, i signori avevano reso ereditario il beneficio ottenuto dal sovrano e, alcuni secoli dopo, nel 1037 all’epoca dell’imperatore Corrado II, videro riconosciute tali prerogative attraverso un editto noto come Edictum de beneficiis (battezzato in età moderna Constitutio de feudis) che decretava l’ereditarietà dei benefici minori.
Durante una spedizione militare dei franchi contro i saraceni, l’imperatore Carlo il Calvo, colse l’occasione per emanare il Capitolare di Quierzy, con cui voleva assicurare la continuità del titolo beneficiario ai signori che avessero preso parte alla spedizione. Fino al loro ritorno, le loro terre non sarebbero state affidate a nessuno, solo in caso di morte durante l’impresa sarebbero tornate all’imperatore che avrebbe deciso come disporne. Non di rado succedeva che esse passassero ai figli e poi il re, al ritorno dalla guerra, ne confermasse il titolo nella natura di beneficio, anche se il capitolare garantiva al solo beneficiario in vita, e non ai suoi eredi, la solidità del possesso fondiario. Carlo venne dunque incontro alle richieste dei grandi feudatari che volevano essere rassicurati su cosa sarebbe accaduto ai loro benefici mentre erano al seguito dell’imperatore e con l’assemblea di Quierzy si stabilirono i limiti entro cui il reggente poteva muoversi.
15 giugno 1300 Dante Alighieri viene eletto tra i Priori del Comune di Firenze dove resterà in carica sino al 15 agosto dello stesso anno. Il Priorato delle Arti (a partire dal 1458 denominato Priorato delle Libertà), detto anche Signoria, venne creato nel 1282 come nuovo organo di potere composto inizialmente da tre priori per le arti maggiori, in seguito divenuti sei, eletti tra gli appartenenti alle ventuno Corporazioni di arti e mestieri. Il Priorato e il Capitano del Popolo rappresentavano i poteri esecutivo e amministrativo: essi convocavano i Consigli e sovrintendevano a tutti i pubblici ufficiali della Repubblica. I Priori rimanevano in carica per due mesi e questo, oltre a consentire una certa mobilità tra i suoi membri, evitava l’eventualità di un sempre possibile accentramento del potere nelle mani di una sola persona, mettendo in tal modo la città e le sue istituzioni al riparo dalla possibilità dell’avvento di un potere tirannico. Questi magistrati, nel periodo della loro nomina, risiedevano presso il palazzo loro destinato, inizialmente la Torre detta della Castagna e in seguito presso il Palazzo del Bargello, erano mantenuti a spese dell’erario e non si potevano allontanare se non gravi e giustificati motivi. Inoltre era loro vietato comunicare con chiunque al di fuori delle pubbliche udienze e la loro elezione, che si teneva a cura dei precedenti priori, insieme ai rappresentanti delle corporazioni e alcuni magistrati scelti dai sestieri cittadini, avveniva a scrutinio segreto.
16 giugno 1779 La Spagna dichiara guerra all’Inghilterrae inizia l’assedio alla roccadi Gibilterra, infruttuoso tentativo della corona spagnola di sottrarre il promontorio al controllo della Gran Bretagna. La Spagna mise in campo un ingente quantitativo di mezzi e uomini ed il più grande assalto venne dato il 18 settembre 1782. L’assedio, il più lungo sostenuto dalle forze britanniche, durò per circa tre anni, infine, il 14 settembre 1783, gli inglesi riuscirono a distruggere le batterie galleggianti spagnole che assediavano la rocca e subito dopo si avviarono le trattative per addivenire ad una pace duratura tra le potenze contendenti, pochi mesi dopo cessò anche l’assedio.
17 giugno 1885 La Statua della Libertà arriva a New York. Inaugurata nel 1886, è uno dei simboli di New York e degli interi Stati Uniti d’America più noti al mondo, essa è situata all’entrata del porto sul fiume Hudson al centro della baia di Manhattan, sulla rocciosa Liberty Island. Dono della Francia al popolo americano, venne realizzata dal francese Frèderic-August Bartholdi, con la collaborazione di Gustave Eiffel, che ne progettò la struttura reticolare interna in acciaio, collegata all’esterno con il rivestimento in fogli di rame, sagomati e rivettati. La statua raffigura la personificazione della Libertà, drappeggiata con una lunga toga, nell’atto di elevare fieramente una fiaccola al cielo, mentre con l’altra mano tiene una tavola recante la data della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America (4 luglio 1776). L’idea di donare una statua agli USA fu espressa per la prima volta da Edouard Renè de Laboulaye, presidente della Societè Française pour l’abolition de l’esclavage (Società Francese per l’abolizione dello schiavismo), nonché importante pensatore politico della Terza Repubblica e risale al 1865, quando, in una conversazione intrattenuta presso la sua dimora a Versailles con lo scultore Frèdèric Auguste Bartholdi, confidò che se un monumento doveva sorgere in America a ricordo dell’indipendenza di quel popolo, credeva fosse naturale realizzarlo con un lavoro comune franco–americano. Laboulaye, acceso sostenitore dell’Unione nella Guerra di Secessione Americana, intendeva glorificare in chiave scultorea l’avanzamento civile americano dopo la fine delle ostilità, nonché i valori comuni che univano le due repubbliche in un mondo occidentale a quell’epoca ancora in prevalenza monarchico. La costruzione, in ogni caso, procedette alacremente, tanto che nel 1882 la statua era già completa sino alla cintola e il 4 luglio 1884, in una solenne cerimonia tenutasi a Parigi, la statua fu completata e presentata all’ambasciatore americano Morton. Ferdinand De Lesseps, succeduto a Labulaye spentosi nel 1883, in quest’occasione annunciò che il governo francese si sarebbe fatto carico dei costi del trasporto dei vari elementi della statua sino a New York. Così, nel gennaio 1885 i vari pezzi furono disassemblati e imbarcati per il viaggio oltreoceano, il 17 giugno il piroscafo francese Isère attraccò al porto di New York con a bordo le varie casse contenenti i pezzi della statua. Malgrado le titubanze degli anni precedenti, il pubblico statunitense non tardò a manifestare un acceso entusiasmo per l’avvenimento e più di duecentomila newyorkesi accorsero a Manhattan per assistere all’arrivo dell’Isère.