18 giugno 1156 Stipulazione del Trattato di pace di Benevento tra papa Adriano IV e Guglielmo I re di Sicilia, arrivato dopo anni di relazioni turbolente tra il papa e i sovrani d’Altavilla. Nel 1156 il papa era rimasto il solo ad opporsi ai Normanni: l’esercito di Michele Paleologo era stato annientato, l’esercito del Barbarossa era tornato in Germania ed i ribelli all’autorità reale in Puglia, come Roberto II di Capua o Riccardo II dell’Aquila, avevano deposto le armi o erano stati imprigionati. In breve, il papa non aveva più alleati per continuare le ostilità, inoltre la popolazione lo aveva cacciato da Roma costringendolo a trasferirsi a Benevento, territorio papale da oltre un secolo. Con il trattato si riconosceva la sovranità di Guglielmo su Sicilia, Puglia, Calabria e Campania, in particolare su Capua e le città costiere di Amalfi, Napoli e Gaeta, oltre che sui territori recentemente conquistati in Italia centrale, Marche e Abruzzi, che erano già stati reclamati da Ruggero e Alfonso, fratelli maggiori di Guglielmo. Al papa fu confermato il tributo al papa di 600 scifati (lo scifato è un particolare tipo di moneta a forma di coppa o scodella emessa nell’impero bizantino) concordato con Ruggero II col Trattato di Mignano del 1139 e ne venne aggiunto un altro di 400 scifati per le nuove terre conquistate. Inoltre, al papa venne riconosciuto il diritto di inviare legati nel reame peninsulare, ma analogo diritto ebbe il re in Sicilia obbligando il papa a rinunciare a molto della sua autorità. A sugello della raggiunta pace, il papa, nella chiesa di San Marciano, incoronò Guglielmo re di Sicilia, Puglia e Capua, ricevendo da questi il bacio della pace e doni in oro e argento. Uno dei principali autori del trattato fu il giovane notaio Matteo D’Aiello, che successivamente acquisirà grande fama in Sicilia e il manoscritto originale è conservato nell’Archivio Segreto Vaticano.
19 giugno 1865 Oltre due anni dopo il proclama di emancipazione, gli schiavi di Galveston (Texas) vengono finalmente informati della loro libertà. Il Proclama di Emancipazione è un documento composto da due ordini esecutivi, promulgati il 1° gennaio 1863, e può essere considerato lo strumento legislativo grazie al quale furono liberate circa 4 milioni di persone entro il luglio del 1865. Verso la fine della Guerra Civile vi furono numerose rimostranze da parte degli abolizionisti, che sottolinearono come gli schiavi fossero stati liberati applicando una misura di strategia bellica, non dichiarando quindi apertamente lo schiavismo come una pratica illegale.
20 giugno 1837 La regina Vittoria del Regno Unito (1819 – 1901) sale sul trono britannico, di seguito, nel 1876, venne proclamata Imperatrice d’India. Vittoria, il cui lunghissimo regno è anche conosciuto come età vittoriana, era figlia del principe Edoardo, Duca di Kent e Strateham, quarto figlio maschio di Giorgio III. Dopo la morte del padre e del nonno nel 1820 e a seguito della scomparsa senza eredi degli zii paterni, la giovanissima Vittoria, cresciuta sotto la supervisione di sua madre, la principessa tedesca Vittoria di Sassonia–Coburgo–Saalfeld, nel 1837 ereditò il Regno Unito, già all’epoca una monarchia parlamentare stabile dove il sovrano aveva pochi poteri politici diretti. In privato, Vittoria cercò di influenzare il governo e la nomina dei ministri, in pubblico, invece, cercò di apparire come un’icona nazionale, una figura che incarnava un modello di valori fortemente morali, tipico dell’epoca. Nel 1840 sposò suo cugino il principe Alberto di Sassonia–Coburgo–Gotha dal quale ebbe 9 figli che, con 20 dei suoi 42 nipoti, sposarono altri membri dell’aristocrazia europea, creando un inestricabile intreccio dinastico e dando a Vittoria il soprannome di “nonna d’Europa”. Il suo regno, durato 63 anni, 7 mesi e 2 giorni, fu il secondo più lungo di tutta la storia britannica, superato solo dalla sua trisnipote Elisabetta II, fu un periodo di sviluppo industriale, culturale, politico, scientifico e militare per il Regno Unito e fu segnato dall’espansione dell’impero britannico. Vittoria fu l’ultima sovrana britannica del Casato di Hannover, appartenendo il figlio e successore Edoardo VII alla casata del padre, Sassonia–Coburgo–Gotha.
21 giugno 1280 Torino viene ceduta dal marchese Guglielmo VII del Monferrato a Tommaso III di Savoia; da questa data la storia della città si legherà indissolubilmente a quella dei Savoia. A causa del vasto potere che stava raggiungendo, Guglielmo, vero e proprio signore della guerra, stava diventando inviso a molte città, così, mentre stava muovendo guerra ad Asti e Alessandria, venne catturato dalle truppe di Tommaso III che, in cambio della libertà, impose al marchese la cessione di Torino. Tommaso III, detto Tommasino (1250–1282), Signore del Piemonte e Conte di Moriana dal 1259 sino alla morte, non viene considerato come successore nella linea comitale della dinastia di Casa Savoia (cioè non fu mai Conte di Savoia), ma è ritenuto il continuatore della branca ducale e capostipite del ramo cadetto dei Savoia–Acaia, essendo il figlio maschio primogenito di Tommaso II, Signore del Piemonte, Conte di Savoia, d’Aosta e di Moriana, Conte di Fiandra e di Hainault, e della seconda moglie del padre, Beatrice Fieschi, la terza figlia femmina di Teodoro, Conte di Lavagna e di sua moglie Simona De Volta di Capo Corso.
22 giugno 207 a.C. I Romani, guidati dai due consoli Marco Livio Salinatore e Gaio Claudio Nerone, distruggono l’esercito di Asdrubale nella battaglia del Metauro, scontro decisivo della seconda guerra punica tra Roma e Cartagine, combattuto presso il fiume Metauro oggi in provincia di Pesaro e Urbino. Le forze cartaginesi erano guidate dal generale Asdrubale Barca, fratello di Annibale, che si suppone portasse rinforzi per l’assedio di Roma, mentre quello repubblicano era comandato dai due consoli. Claudio Nerone aveva già combattuto contro Annibale a Grumento, qualche centinaio di chilometri a sud del Metauro, e si ricongiunse a Livio Salinatore con una marcia forzata all’insaputa dei cartaginesi, che si trovarono così in inferiorità numerica. Nerone non mostrò alcun rispetto per il suo avversario caduto in battaglia, infatti ordinò che la testa di Asdrubale fosse tagliata e lanciata nel campo di Annibale, per fargli sapere della morte del fratello. Lo scontro del Metauro vide Roma, per la prima volta, vincere una battaglia campale in Italia dall’inizio della guerra, inoltre col fallito tentativo di far arrivare rinforzi ad Annibale, Roma riuscì a trarre benefici anche nel suo rapporto con gli alleati italici.
23 giugno 1565 Sull’isola di Malta, assediata dai turchi, cade la difesa di Forte Sant’Elmo. L’Impero Ottomano era deciso a conquistare Malta, per eliminare definitivamente l’Ordine Ospedaliero di San Giovanni, ma la strenua difesa dei cavalieri e dei maltesi obbligò gli Ottomani a desistere dopo quasi 4 mesi: la caduta dell’isola infatti –ultimo baluardo di difesa della cristianità– avrebbe avuto conseguenze disastrose per tutta l’Europa, data la debolezza e litigiosità delle potenze europee. Forte Sant’Elmo è una fortezza che si trova sulla punta settentrionale di La Valletta e prende il nome da Sant’Elmo, santo patrono dei marinai, inoltre divide il Porto Grande dal porto di Marsamuscetto e controlla le entrate di entrambi i porti, assieme a Forte Tignè e Forte Ricasoli. L’anno successivo all’assedio il Gran Maestro Jean De La Vallette decise di costruire una nuova città sulla penisola, le rovine del forte furono quindi ricostruite e integrate con le mura della città, conferendole la sua forma attuale. Oggi il forte ospita l’Accademia di Polizia dell’isola e il National War Museum, dove sono esposte le testimonianze della seconda guerra mondiale, tra cui l’unico biplano sopravvissuto alla guerra -un Gloster Sea Gladiator N 5520, unico sopravvissuto della squadriglia che nel 1940 affrontò nei cieli gli aerei italotedeschi durante il lungo assedio dell’isola tra il 1940 ed il 1942 – e la George Cross, la più alta decorazione civile del Regno Unito, conferita da Re Giorgio VI a Malta per il valore dimostrato in guerra e inserita dal governo maltese nella propria bandiera.
24 giugno 217 a.C. Battaglia del Lago Trasimeno, Annibale distrugge l’esercito romano comandato dal Console Gaio Flaminio. L’esercito cartaginese conseguì sul campo una vittoria piena, avendo colto la maggior parte delle truppe romane ancora in ordine di marcia nel fondo della valle. Le fonti riferiscono della morte in battaglia del Console Flaminio e di notevoli perdite romane, mentre i cartaginesi persero tra i 1500 e i 2500 soldati, compresi soprattutto nelle file celtiche. La disfatta, la morte di Flaminio e la distanza da Roma dell’altro Console Servilio spinsero i comizi centuriati -assemblee popolari dotate di vasti poteri, anche legislativi– ad eleggere dittatore Quinto Fabio Massimo Verrucoso e Maestro della Cavalleria Marco Minucio Rufo. Annibale, nonostante la vittoria conseguita, non ottenne le sperate proposte di alleanza da parte delle popolazioni italiche del Centro Italia. I federati si strinsero a Roma, ad eccezione di alcuni gruppi sparuti e un tentativo cartaginese di conquista della colonia latina di Spoleto si concluse con un nulla di fatto. Data la situazione, il condottiero cartaginese valutò non conveniente dirigersi verso Roma, ma attraversò l’Umbria ed il Piceno, sino a raggiungere l’Adriatico, ove fece riposare e curare i propri uomini e animali. Lungo il tragitto l’esercito cartaginese mise insieme un notevole bottino, devastò le campagne uccidendo molti uomini in età da servizio militare. Annibale si diresse quindi verso l’Apulia, per proseguire i suoi progetti in luoghi a lui più favorevoli. Dal punto di vista militare egli decise di far adottare dalle proprie fanterie gli armamenti pesanti raccolti nei campi di battaglia alla Trebbia e al Trasimeno. Le fanterie pesanti cartaginesi, quindi, passarono dalla lancia d’urto alla spada, comune nel Mediterraneo Occidentale. Si determinò quindi il passaggio da una formazione a falange a una manipolare, cioè uno schieramento più duttile e flessibile.