Le Isole Salomone sono una poverissima Nazione insulare del Sud Pacifico, da secoli vittima dei calcoli geopolitici altrui. Nel 1877 le isole caddero sotto l’influenza inglese e nel 1893 la Gran Bretagna le trasformò ufficialmente in protettorato. La colonizzazione britannica delle Solomon fu voluta dai coloni australiani che pretendevano, dall’allora madrepatria, la creazione di un avamposto che li proteggesse dall’espansione francese e tedesca neL Pacifico.
La colonizzazione portò in eredità pesanti lasciti alle isole: risentimenti e stereotipi etnici, profonde differenze di sviluppo economico fra l’Est e l’Ovest dell’arcipelago e scarsissima scolarizzazione. Tali problematiche avrebbero portato, fra il 1998 e il 2003, allo scoppio di una guerra civile, che oppose gli abitanti dell’isola di Guadalcanal, su cui si trova la capitale, ai lavoratori originari dell’isola di Malaita.
Alle radici del conflitto vi erano le ostilità etniche che i colonizzatori britannici avevano fomentato nei confronti dei Malaitani, conflitti per la terra fra le comunità locali e i lavoratori immigrati di Malaita, povertà e disoccupazione. Tuttavia la guerra fu voluta e innescata soprattutto da politici corrotti, che agivano per i propri interessi e probabilmente anche per quelli delle multinazionali del legname. Infatti poco prima delle ostilità il governo centrale aveva tentato di riformare il Paese, anche in base alle indicazioni della Banca di Sviluppo Asiatica, fra le altre cose regolamentando l’industria del legname. Fin dall’indipendenza quest’ultima era fuori controllo, collocandosi al centro di un sistema di corruzione endemica e rendendosi responsabile di un disboscamento selvaggio. Le ostilità scoppiarono non a caso poco dopo il fallimento di un tentativo di sfiducia al governo (deposto con un colpo di Stato nel 2000). La guerra terminò nel 2003, in seguito all’intervento del RAMSI (Regional Assistance Mission to Solomon Islands), nota anche come Helpem Fren – Operazione Anode e Operazione Rata, una forza internazionale a guida australiana.
Oggi un nuovo conflitto rischia di scatenarsi nelle Salomone, al centro di una nuova contesa geopolitica che vede come protagonisti la Cina, da una parte, e gli Stati Uniti e i loro alleati dall’altra. La Cina è una potenza economica e militare in forte crescita, ormai seconda, ma neanche tanto, solo agli USA, e pertanto gli Stati Uniti intendono contenerla, sia economicamente che militarmente, per conservare la propria egemonia. Il profondo e inestricabile intreccio tra dimensione economica e dimensione militare è evidente leggendo la strategia USA per l’Indopacifico (US Indo-Pacific Strategy), pubblicata dagli Stati Uniti nel febbraio 2022.
Il documento rende chiaro come l’Oceano Pacifico e l’Oceano Indiano siano ora considerati di vitale importanza strategica dagli Stati Uniti e come, all’interno di questo scacchiere, la Cina sia percepita come il principale rivale, sia dal punto di vista economico che militare. Esso contiene inoltre obiettivi economici che collidono con quelli cinesi delineati in Made in China 2025 e nel progetto della Nuova Via della Seta. Gli obiettivi di competizione economica con la Cina vengono affiancati, all’interno dello stesso documento, al proposito di contenere militarmente il Paese asiatico, rafforzando le alleanze con i partner dell’area: l’alleanza QUAD (Australia, Giappone, India e Stati Uniti), l’alleanza AUKUS (USA, Australia e Gran Bretagna), gli accordi di cooperazione militare con la Tailandia e la Malesia e l’Enhanced Defense Cooperation Agreement con le Filippine. In progetto vi è anche la cooperazione economica dell’alleanza QUAD con l’ASEAN. Gli Stati Uniti si propongono anche di coinvolgere, nello scenario indopacifico e negli sforzi di contenimento della Cina, anche l’Unione Europea e la NATO.
Il documento rientra in un quadro di crescente competizione economica e militare, nell’ambito della quale Cina e Stati Uniti si contendono il controllo del Sudest Asiatico: la Cina vorrebbe delocalizzarvi le produzioni meno redditizie, mentre gli Stati Uniti vorrebbero sostituire la regione alla Cina come fabbrica del mondo, nell’ottica della strategia del decoupling.
Il contenimento della Cina passa anche attraverso il suo accerchiamento via mare, effettuato tramite il controllo militare USA su tre catene di isole. La prima comprende le isole giapponesi, Taiwan, le Filippine e la Malesia e si congiunge a Nord con la Corea del Sud. La seconda catena parte dal Giappone, attraversa Guam e le altre isole dell’arcipelago delle Marianne, lo Stato insulare di Palau, gli Stati Federati di Micronesia e termina presso la Papua Occidentale. La terza catena di isole infine è costituita da quelle isole Aleutine che fanno parte del territorio dell’Alaska, dalle Hawaii, dallo Stato di Kiribati, dalle Samoa Americane, per finire con la Nuova Zelanda.
Gli Stati Uniti hanno la necessità di muoversi liberamente in tutto l’Oceano Pacifico, dalla prima catena di isole alle proprie coste, per garantirsi la massima libertà d’azione, nonché vie di rifornimento sicure che colleghino gli USA agli eventuali teatri di guerra dell’Indopacifico. Fondamentale è soprattutto il controllo sul tratto di mare compreso fra gli USA e la linea internazionale del cambio di data, la quale si interseca in diversi punti con la terza catena di isole.
Per rompere l’accerchiamento, difendere le rotte commerciali e soprattutto garantire il proprio dominio sui mari, a partire da quelli più prossimi, la Cina muove rivendicazioni di sovranità sulla maggior parte del Mar Cinese Meridionale e su parte di quello Orientale: oltre a Taiwan, le Isole Spratly, le Isole Paracelso e le Isole Senkaku/Diaoyu, insieme alle acque circostanti. Queste rivendicazioni inimicano alla Cina, oltre che Taiwan, la maggior parte dei Paesi vicini: Malesia, Brunei, Vietnam, Filippine, Giappone e Indonesia. Il controllo sui mari più prossimi consentirebbe alla Cina di respingere gli Stati Uniti dietro la seconda catena di isole e di dominare l’Asia Sudorientale.
Proprio fra la seconda e la terza catena di isole si collocano le Isole Salomone.
In passato il governo di Taiwan aveva comprato, con aiuti umanitari, il proprio riconoscimento, da parte delle Isole Salomone, come unico governo legittimo della Cina. Durante la guerra civile il denaro di Taiwan fu utilizzato anche per cercare di convincere le milizie a cessare le ostilità. Nel 2019 il primo ministro delle Isole Salomone, Manasseh Sogavare, ha disconosciuto Taiwan a favore della Cina. In seguito al riconoscimento della Cina, nel novembre 2021 erano scoppiati violenti disordini nella capitale, che hanno coinvolto soprattutto Malaitani simpatizzanti di Taiwan. Le rivolte, durante le quali era stata incendiata China Town, furono sedate da un nuovo intervento australiano. Quest’anno Sogavare ha firmato con la Cina un accordo segreto di cooperazione sulla sicurezza, che ha suscitato la forte proccupazione di Usa e Australia. L’accordo prevede che, su richiesta del governo delle Salomone, la Cina possa inviare nella Nazione del Sud Pacifico propri contingenti militari, anche con il compito di sedare sommosse interne. Il personale cinese dovrà esser coperto da totale immunità per le proprie azioni. Sempre in base all’accordo, le navi militari cinesi potranno stazionare nelle acque delle Isole Salomone ed usufruire dei loro porti, a prescindere da un’eventuale richiesta di supporto rivolta dallo Stato insulare alla Cina. Apparentemente non esistono limiti alla possibilità, per la marina cinese, di far base presso le isole. Il timore del Stati Uniti e dell’Australia, è che i Cinesi possano costruire delle basi militari a pochi chilometri dalle coste australiane. Le Salomone hanno già in essere un accordo di sicurezza con l’Australia, che le considera strategiche dal punto di vista militare. Secondo Sogarave non vi sarebbe intenzione alcuna di consentire ai Cinesi la creazione di basi militari sulle isole.
Per tessere legami con le Salomone e convincere le isole a disconoscere Taiwan, la Cina avrebbe finanziato la campagna elettorale di diversi parlamentari (cosa che anche Taiwan probabilmente faceva) oltre a promettere la costruzione di uno stadio, investimenti e l’inizio di una cooperazione commerciale ed economica. Per salvare il governo di Sogavare dalla sfiducia, dopo che il disconoscimento di Taiwan aveva portato alle rivolte del 2021, i cinesi avrebbero versato denaro molti rappresentanti del PArlamento delle Salomone.
Nel 2020 gli Stati Uniti hanno fornito a Malaita ingenti aiuti allo sviluppo, un mese dopo che Malaita aveva annunciato l’intenzione di indire un referendum per l’indipendenza dalle Salomone. È da segnalare che il motivo principale addotto da Malaita per giustificare i propri propositi secessionisti è la rottura delle Salomone con Taiwan e il riconoscimento della Cina da parte del Paese. Il governo provinciale di Malaita, guidato da Daniel Suidani, rifiuta di disconoscere Taiwan. Durante la pandemia, mentre il resto delle Isole Salomone ricevevano assistenza dalla Cina, Malaita riceveva aiuti da Taiwan senza l’autorizzazione del governo centrale. Suidani pochi giorni fa è stato accusato di aver tenuto un discorso con cui incitava la popolazione alla guerra civile e ad assaltare le attività economiche cinesi. Il politico ha comunque negato queste accuse.
A svelare il testo dell’accordo di sicurezza con la Cina è stato, il 24 marzo, il consigliere politico di Suidani, su incoraggiamento, sembra, dei servizi segreti australiani. Due settimane dopo due vertici dei servizi segreti australiani si sono recati alle Salomone per incontrare Sogavare.
Il Primo Ministro australiano Scott Morrison ha dichiarato di considerare la possibilità che la Cina installi una base militare nelle Isole Salomone come una linea rossa da non superare. Un analista politico australiano ha esortato il proprio governo a deporre con la forza il governo di Sogavare. Alla domanda se un’invasione delle Isole Salomone potrebbe essere la risposta australiana all’eventualità che la Cina superi la linea rossa e stabilisca una base militare alle Salomone, Morrison ha rifiutato di rispondere.
Resta da vedere come si evolverà la situazione, ma di certo le Isole Salomone rischiano di venir nuovamente travolte dalla competizione geopolitica tra i grandi del mondo.