La guerra, intesta come “attività atta a modificare le sfere di influenza degli altri stati” ha, necessariamente, un punto d’inizio. Laddove la si voglia paragonare agli scacchi, si può dire che viene mossa una prima pedina, che segna l’inizio della partita. Vediamo come ciò è stato interpretato nelle precedenti fasi storiche, in modo da comprendere la crisi attuale di questo concetto nella strategia militare moderna.
Il concetto di “penetrazione delle sfere d’influenza” e le sue applicazioni
Se la guerra tenta di rimodellare una sfera di influenza esterna alla propria, allora è vero che occorre cercare, necessariamente, una “testa di ponte”. Questa ricerca, definibile come “penetrazione” è riassumibile, sostanzialmente, nell’operare su uno dei tre punti (demografia, mercato e forze armate) che costituiscono le sfere di influenza, per cercare di orientarlo a proprio vantaggio.
Quest’idea, di “appiglio” da cui partire per modificare le aree sulle quali influiscono le politiche estere delle nazioni, è stata, sostanzialmente, sempre tradotta a livello pratico nell’utilizzo dell’hard power, cioè l’intervento militare. Così facendo, infatti, l’idea di base era quella di una guerra (spesso condotta “a debito”) che influisse sugli altri paesi annullandone il fattore militare, senza dare, dunque, alla loro sfera di influenza la possibilità di difendere i propri interessi. Conseguentemente, vi era una fase, più o meno lunga, di “inglobamento” della popolazione e del mercato interno, col ruolo, almeno in un primo momento, di ripagare lo sforzo economico dei belligeranti vittoriosi.
Guerre come queste (è il caso della Prima guerra mondiale) richiedevano un grande tributo economico o di cessione territoriale al vincitore da parte degli sconfitti. Bisogna fare, però, attenzione al fatto che, malgrado l’interpretazione storica sia sempre stata quella di “vincere una guerra” privando il nemico dell’elemento militare, si può veramente cantare vittoria solo nel momento in cui la sua sfera di influenza è stata inglobata o riorientata a favore della propria. Assenza di un’area più ampia in cui l’esercizio (diretto o meno) della propria sovranità richiede costi minori dei benefici, ci si trova, infatti, di fronte non tanto a una vittoria, quanto a un’enorme spesa pubblica. In quest’ottica, dunque, non solo di annullamento della resistenza bellica avversaria, ma anche di stabilizzazione e mantenimento dello status quo, il concetto di “vittoria” cambia radicalmente e, con esso, vengono ridefinite le strategie.
Laddove, infatti, un tempo per dirsi vittoriosi era sufficiente far marciare i propri soldati nelle capitali nemiche, ad oggi la globalizzazione ha insegnato che non sempre è così. Senza assicurarsi la cooperazione autoctona si rischia, infatti, d’impegnarsi in conflitti di durata ventennale. Un’attenta penetrazione è il primo passo per evitare situazioni simili, ragion per cui la sua pianificazione apre, nell’occidente post-Afghanistan, scenari interessanti.