Un claim che riecheggia nei corridoi degli uffici delle forze dell’ordine da anni, forse decenni, portato avanti dagli “anziani” come lascito ai nuovi agenti, una sorta di chiave di lettura dei nuovi tempi, assai controversi, dove se indossi una divisa e rappresenti lo stato, non puoi dare per scontata la benevolenza della società civile.
Quella stessa società che hai giurato di difendere, a costo di arrivare in ritardo il compleanno dei tuoi figli, o saltare l’anniversario di fidanzamento perché quell’intercettazione telefonica non può attendere; un senso del dovere per cui sei ormai abituato a mangiare il pasto freddo, messo da parte dai familiari perché quell’intervento apparentemente innocuo, celava un mandato di cattura e hai finito tardi il turno di servizio.
Meglio un brutto processo che un bel funerale, uno slogan apparentemente provocatorio, quasi iperbolico, che appare via via più realistico quando ci si trova in strada, come ultimo baluardo di ragionevolezza alla schizofrenia libertaria che si annida sempre di più nelle città.
Meglio un brutto processo, certo, ma con un mutuo sulle spalle, il rincaro delle bollette, la retta dell’asilo nido, l’auto nuova acquistata per una città più ‘green‘, (poiché se lavori a Milano grazie ai varchi area B al verde ci resti anche tu), il processo non diventa più la mirabile alternativa al funerale, ma uno spettro che ti accompagna su ogni intervento.
E allora capita che ti becchi una coltellata alla schiena, a causa di un cittadino che nemmeno doveva trovarsi in Italia, poiché sei tu, in quella divisa, l’unica messa a terra nel corto circuito italiano, dove un patrimonio comune del vivere civico come il rispetto delle regole diventa strumentalmente divisivo, e chi ragionevolmente se ne fa promotore viene tacciato come un megafono nostalgico del ventennio.
Il processo o il funerale, il funerale e il processo, in questa parossistica devoluzione dell’autorità istituzionale di questo paese, ci si ritrova ad avere una terza opzione, che è la terapia intensiva, e allora non sorprenda il crescente calo delle domande per arruolarsi, non ci faccia sobbalzare dalla sedia la disaffezione crescente dei giovani non verso le divise, ma all’ipocrita galassia di teorici che ne pretendono l’ardimentoso argine alla dilagante violenza metropolitana, salvo poi inorridire all’uso della forza; non ci lasci attoniti se sempre meno ragazzi sono disposti a farsi accoltellare per uno stipendio che dovrebbe correre al passo dell’inflazione e che invece difficilmente riceverà multe per eccesso di velocità.
Sempre meno agenti, meno dispersori elettrici in un corto circuito sempre più esteso, e la politica e la cittadinanza non si voltino dall’altra parte, perché in un eventuale incendio i primi a rimetterci sarebbero i cittadini perbene.