Nel frastuono continuo che ci accompagna ogni giorno – fatto di notifiche, voci, traffico, polemiche, urgenze – il Venerdì Santo arriva come uno squarcio di silenzio. Un giorno che non chiede nulla, se non di fermarsi. Niente clamore, nessuna retorica: solo il passo lento di una processione, il suono grave dei tamburi, le luci spente nei santuari, il legno nudo della Croce.
Un tempo sospeso
Non è solo una celebrazione religiosa, né un rito per pochi. Il Venerdì Santo è un tempo sospeso, che parla a credenti e non credenti. È la rappresentazione simbolica della sofferenza, dell’ingiustizia, dell’abbandono. Ma anche della dignità silenziosa di chi attraversa il dolore senza far rumore. In un mondo che ha fatto della visibilità la sua ossessione, oggi si celebra l’invisibile.
Una comunità che cammina insieme
Ogni città, ogni paese ha la sua processione: statue antiche portate a spalla, volti coperti, canti lenti e penetranti. Ma il vero protagonista è quel passo sincronizzato, che attraversa le vie e tocca le coscienze. Una comunità che cammina insieme, con rispetto e misura, come se per un attimo si ricordasse che esiste qualcosa di più grande del presente che corre.
L’invito alla pietà
Il Venerdì Santo ci ricorda che non c’è resurrezione senza attesa, né luce che non nasca dal buio. Ci invita alla memoria, alla pietà, alla consapevolezza. È il giorno in cui anche chi non crede si concede il diritto di ascoltare. Di stare in silenzio. Di sentire il peso di quella Croce che, in modi diversi, tutti prima o poi portiamo.
E forse, proprio in quel silenzio che sembra dire così tanto, possiamo ritrovare una parte più autentica di noi stessi.