La storia di quello che oggi è l’Iraq inizia addirittura agli albori della civiltà, proprio qui nacquero le prime città della storia, divenendo poi terra di conquista per i vari imperi che nel corso dei secoli si avvicendarono al controllo di questa terra.
Tuttavia la nascita del moderno Iraq non si deve alla volontà delle popolazioni che lo abitavano ma a una decisione delle potenze coloniali, in primis gli inglesi, che lo ritagliarono letteralmente dal territorio dell’Impero ottomano al termine della Prima Guerra Mondiale. Rimarrà poi per lungo tempo nell’orbita dell’Impero britannico, che di fatto aveva un totale controllo sulla sua economia, fino a che un colpo di stato nel ’58 affrancò il paese dall’egemonia del Regno Unito.
Oggi l’Iraq è un paese molto giovane; il 67,9%[1] della popolazione ha meno di trent’ anni. Inoltre, è ricco di materie prime tra cui vaste riserve di petrolio. Sulla carta aveva tutti i requisiti necessari per essere un paese prospero e sviluppato, grazie all’ abbondanza di risorse naturali, a un apparato burocratico preparato e alla posizione strategica occupata dal paese che teoricamente avrebbero potuto consentire di fare ingenti investimenti nei settori pubblici come sanità ed istruzione permettendo poi la nascita di una vera e propria classe media.
Ma decenni passati tra dittature, divisioni settarie e religiose, guerre civili e interventi militari stranieri senza contare la forte presenza di gruppi terroristici hanno reso l’Iraq un paese povero con un PIL pro capite di soli 12,141$ (114o al mondo),[2] preda di una corruzione dilagante e con grosse carenze nei servizi per la popolazione. Ed è proprio questa situazione di estremo disagio che spinge la popolazione, e soprattutto i giovani, a scendere in piazza per protestare contro l’élite economico politiche che detengono il controllo del paese ma che sono estremamente divise sul piano religioso ed etnico.
I giovani iracheni vivono in condizioni estremamente difficili. L’instabilità e l’embargo posto dagli USA negli anni 90’ hanno creato una povertà diffusa strozzando la classe media irachena che aveva iniziato faticosamente a formarsi a partire dagli anni 70/80.
Con un mercato del lavoro controllato dal sistema politico i giovani iracheni fronteggiano livelli di disoccupazione elevati, con la disoccupazione giovanile che arriva al 34,6%[3]. Le proteste che ciclicamente scoppiano nel paese le ultime si sono svolte tra agosto e ottobre del 2022 vedono un’enorme partecipazione dei giovani che, nonostante siano una larga fetta della popolazione, sono costantemente ignorati nelle scelte del governo.
I giovani scesi in strada chiedono la fine del sistema clientelare e settario che domina il panorama del lavoro in Iraq, più politiche che vedano protagonisti i giovani e maggiori investimenti nei sistemi educativo e sanitario che attualmente versano in condizioni disastrose.
Nonostante le numerose risorse naturali del paese potrebbero garantire i fondi necessari per ampi piani di riforma e sviluppo la situazione stenta a migliorare per via dell’onnipresente corruzione che permea l’intero apparato statale.
Tutto ciò alimenta la rabbia e la frustrazione nelle fasce più giovani della popolazione impegnate a lottare tenacemente per ottenere la considerazione necessaria da parte dei politici e che continueranno a protestare fino a quando non vedranno dei concreti miglioramenti delle proprie condizioni di vita.
Quello che emerge dalle due parti di questo articolo è che in entrambi i paesi presi in esame (Francia e Iraq), al netto delle loro grosse differenze socio-culturali, i giovani si sentono marginalizzati e abbandonati a sé stessi prigionieri di un sistema che non li valorizza ne riesce a fornirgli gli strumenti necessari per crearsi un futuro stabile. L’aspirazione a loro comune è la richiesta di essere ascoltati dai loro rispettivi governi, vedere nei loro paesi la nascita di un progetto politico che li veda protagonisti.
Tuttavia per ora non sono state messe in campo delle iniziative governative tese a migliorare la situazione; in Iraq anzi i manifestanti nell’ultimo ciclo di proteste sono andati incontro a una dura repressione che ha lasciato dietro di sé quasi 600 morti [4], mentre in Francia nonostante le quattordici giornate di protesta la riforma delle pensioni è stata comunque approvata ed è diventata operativa a partire dal 1° settembre. Ma il disagio che ha alimentato le proteste rimane latente nella società continuando a crescere sebbene sottotraccia.
Ciò porta in entrambi i paesi al continuo riemergere di proteste e violenze rendendo la situazione sempre più critica fino a che la rabbia e la frustrazione non diventeranno incontenibili e la situazione esploderà con conseguenze imprevedibili per tutti gli attori coinvolti.
[2] Iraq