Siamo negli anni ’70 a Terrasini, in Sicilia, e Peppino Impastato, figlio di un mafioso, ogni venerdì sera con la rubrica “Onda pazza a mafiopoli” attacca i boss a colpi di bordate satiriche sulle frequenze di Radio Aut, una radio autofinanziata. Li paragona ai personaggi del west con in sottofondo musichette comiche, ne destruttura l’enfasi gentilizia, irride l’aura del potere, ne disarciona il carisma accumulato con anni di nefandezze e sopraffazioni. Audace, diremmo noi con gli occhi di oggi, un folle, se immedesimati in alcuni territori meridionali di cinquanta anni fa, dove la sacralità di alcuni rituali non aveva ancora conosciuto il giudizio di anacronismo dettato dal progresso.
I privilegi del territorio
Già, un folle, o forse un eroe, perché Peppino Impastato, appartenente ad una famiglia dal pedigree mafioso, avrebbe potuto esserne parte attività, o comunque neutrale, godendo indirettamente dei benefit derivanti da quella silente riverenza (dettata dalla paura) che in alcuni territori si riserva ai padrini. Invece lui quei privilegi li ha disconosciuti, ha spezzato la tradizione legata al sangue e i mafiosi li ha rinnegati pubblicamente, allorquando ha rifiutato di stringere loro la mano durante la messa per la morte del padre. Una perpetua delegittimazione sociale, un’arma sottile, forse più tagliente di quella giudiziaria, che ha prima infastidito i boss, poi li ha spaventati, fino a portarli a decretare la sua morte il 9 maggio del 1978, quando ignoti lo hanno colpito alla testa, per poi piazzare il corpo sul tritolo a margine dei binari sulla linea Palermo Trapani.
Aldo Moro
Una beffa fu la data del ritrovamento del corpo, coincidente con quello dell’onorevole Aldo Moro che ne ha, per forza di cose, offuscato l’onda mediatica; un ulteriore schiaffo alla memoria lo hanno dato gli studenti di un liceo di Partinico, che si sono opposti all’intitolazione della scuola a Peppino poiché ritenuto “divisivo”, in quanto appartenente al partito di Democrazia proletaria. Un clamoroso autogol che aiuta la mafia, che riacquista terreno nella dispersione della memoria, perché non è una “divisa” a connotare la cifra di un pensiero, di un ideale, e non mitigherà questa magra figura l’aver individuato per l’intitolazione della scuola la figura del magistrato Rosario Livatino, ucciso dalla Stidda nel 1990.
Non la mitigherà poiché, seppur condivisibile in termini assoluti, la mossa di ritenere un magistrato meno “divisivo” sottende quel malcostume di derubricare la lotta alla mafia all’ambito giudiziario, deresponsabilizzando la società civile, quando invece, la mafia, prima che del denaro si nutre da sempre del consenso sociale. Se alcuni giovani hanno smarrito la via del tributo al suo ricordo, noi, parafrasando un’iconica scena del film “i cento passi” che racconta la sua storia, possiamo dirgli “non ti abbiamo dimenticato” e non ti dimenticheremo mai Peppino.
Grande Peppino impastato un vero che veramente lottava, già allora per un mondo migliore. Un uomo vero, diverso da tanti che allora ed anche oggi si sentono veri, ma servi degli altri, vigliacchi come questi ragazzi che non hanno voluto dare il nome di Peppino alla scuola. Poveri disgraziati ancora oggi servi di mafia e di poteri oscuri, apparentemente manifestano fittiziamente contro ma realmente rimangono poveri, vigliacchi e inutili. Sembra che vogliano cambiare ma non cambieranno e non cambierà mai nulla finché sarà presente l’inutile seme della idiozia, dell’ ignoranza e della stupidità. Bravo Andrea sempre più grande