Non si poteva scegliere data migliore: il 21 marzo, equinozio di primavera, la stagione in cui tutto rinasce, si allunga, si scrolla di dosso il torpore e si allarga alla luce. Un giorno perfetto per celebrare la Giornata Mondiale della Poesia.
Ma ha ancora senso, oggi, in questa società che corre, che divora, che disfa e rifà a velocità sempre più spietata, fermarsi a leggere una poesia? Ha senso celebrare qualcosa che, per sua natura, richiede lentezza, attenzione, silenzio? Sì, ne ha. E ne ha sempre più bisogno.

Perché la poesia è un ponte. E non nel senso delle metafore sdolcinate, ma nel senso più concreto e necessario del termine: serve ad attraversare, a mettere in contatto, a tenere insieme. In un mondo che sembra più attrezzato a separare che a unire, la poesia è una resistenza attiva. Dice che siamo tutti fatti della stessa sostanza di domande, di nostalgie, di attese. Dice che un bambino che guarda il cielo in una periferia italiana e un anziano che contempla un fiore in Cina stanno facendo la stessa cosa, con lo stesso stupore, la stessa fame di significato. La poesia è una lingua che riconosce il dubbio, il limite, l’ambiguità: la possibilità che più cose siano vere allo stesso tempo, che non esista un solo punto di vista, che il bianco e il nero spesso si confondano.
La grande poesia accende fuochi. Ti fa sentire meno solo, ti cambia lo sguardo, ti fa accorgere che sotto la superficie di ogni cosa c’è un tremore, un mistero. Potresti non aver mai letto versi in vita tua, eppure basta aprire un libro di Hikmet, di Plath, di Lorca, e all’improvviso sei da un’altra parte. Un luogo in cui il dolore e la bellezza convivono, in cui il tempo non è un orologio, ma una vibrazione.
C’è qualcosa di pericoloso nella poesia, ed è proprio questo il punto. È pericolosa perché scompiglia le certezze, perché chiama a raccolta pensieri che erano sopiti, emozioni che credevamo di aver archiviato. La poesia non serve a tranquillizzare, ma a scuotere. È un’arte antica e magica, una formula che apre porte, finestre, squarci. E, di questi tempi, una finestra in più sul mondo non è un lusso: è una necessità.
Per questo, oggi più che mai, leggere e scrivere poesie è un gesto politico. Non nel senso banale dello slogan, ma nel senso più profondo dell’essere parte di qualcosa. Di essere connessi. Perché la poesia non cambia il mondo, ma cambia chi lo abita. E forse è abbastanza.