È la notte del 21 agosto 1911. La Belle Époque volge al termine. Parigi dorme da poco, tranquilla, coccolandosi nell’idea di essere una città dove tutto può accadere. E accade. Sta per compiersi un fatto che rimarrà nella storia per audacia e semplicità. Non un comune banale crimine, qualcosa di più, qualcosa di inaspettato che stupirà una nazione lasciandola tramortita e ferita nel suo smisurato amor proprio. Qualcosa che proietterà un uomo dritto dritto nella leggenda.
È in questa notte che la Gioconda sparisce, scompare lasciando un vuoto senza fine nella sua casa del Louvre.
Vincenzo ha compiuto una cosa inaudita, ha rubato anzi ha rapito la Gioconda. Chiederà il riscatto? Cosa ne farà di quel sorriso strano immortalato da Leonardo, il mito universale?
Vincenzo Peruggia è il ladro rapitore. Un uomo forse più intricato e complesso che misterioso. Innamorato dell’Arte senza conoscerla, innamorato di tutto ciò che è bello e vivaddio italiano. E con un’anima da vero patriota. Viene dal nulla Vincenzo, da Dumenza, incastrata nella provincia di Varese in un Nord Italia che procede come un treno verso la guerra. Umili origini ma un cuore pieno di passione e di amore per la sua Patria. Nessuna follia come qualcuno allora gridò.
Vincenzo l’imbianchino, il decoratore. Schiva la leva militare per gracilità e quindi segue il padre a Lione per poi infilarsi nella grande Parigi a cercar lavoro. Lo trova presso un appaltatore del Louvre a cui sono affidati lavori di pulizia delle cornici e montaggio dei vetri a protezione delle opere.
Chissà quante volte ha sostato davanti alla Gioconda, a guardarla rapito pieno di orgoglio italiano. Ma anche di rabbia. Quella meraviglia è appesa in una stanzetta secondaria, come un’opera minore. Nonostante la mano sia quella di Leonardo, lo sperimentatore per antonomasia. Il Genio riconosciuto in tutto il mondo. Non la meritano questi francesi, certo pensa Vincenzo. In Italia le darebbero il posto che si merita.
Ha pensato a tutto. Conosce a memoria i turni di guardia. Si nasconde in un ripostiglio, vi passa la notte e poi come un’ombra si dirige verso quella misera saletta. Prende il quadro, si dirige verso l’uscita passando per la sala dei Sept Mètres, con perizia toglie rapido la cornice e nasconde la tela sotto la giacca. Nessuno si accorge di qualcosa. Nessuno lo ferma. Esce indisturbato, gonfio di orgoglio. È così sognante e soddisfatto che sbaglia autobus e va in direzione opposta a casa sua in rue de l’Hopital Saint-Louis.
Ha pensato quasi a tutto. Arriva a casa, non sa dove metterla in quella povera casa. Teme che l’umidità possa rovinarla e allora che fa? L’affida a un amico italiano che abita lì vicino. Giusto il tempo di costruire una cassa adatta a contenerla e poi la riprende.
A Parigi intanto esplode il putiferio. C’è voluto un giorno perché capissero che la Gioconda alias Monna Lisa, è sparita, rubata chers Messieurs! Il direttore del Louvre, il signor Homolle, pare abbia un malore dopo aver parlato con il signor Prefetto di Parigi, Louis Lépine. I giornalisti s’accalcano, non danno tregua. Chiudono tutto, anzi sigillano il Louvre. Decine di poliziotti lo perquisiscono ovunque senza esito. La Gioconda sorride ormai altrove. E cominciano a cadere alcune teste, naturalmente non quella del ministro competente, non quella del capo della Gendarmerie. Perdono il posto le guardie dei turni incriminati, il capo della Sicurezza. Ai politici al massimo l’oblio, a tutti gli altri miseria e punizioni.
La cercano per due anni due. Ovunque. Sospettano di tutti. Anche di Apollinaire e di Picasso, arrestati e poi liberati, perché pochi mesi prima pubblicamente affermano di voler svuotare i musei per riempirli con le loro opere… Dalla tragedia alla farsa.
Vincenzo intanto prende il treno e torna a casa sua, in quel di Dumenza, con la Gioconda. Comprende che l’opera non può rimanere nascosta, l’Italia deve poterne godere la vista. Prende la decisione di venderla. Scrive a un collezionista d’arte, tale Alfredo Geri che pubblicamente cerca opera d’arte di gran livello, offrendogli la Gioconda purché si impegni a tenerla in Italia. Si accordano per vedersi con il direttore della Regia Galleria a Firenze, cosa che accade l’11 dicembre 1923. La Gioconda è presa in custodia dal Direttore per un esame; Vincenzo il giorno seguente è preso in custodia dai Carabinieri nella sua stanza d’albergo. Fine di una grande, epica avventura di un uomo semplice, innamorato del suo paese e dell’arte.
La giustizia italiana è fortunatamente clemente con Vincenzo Peruggia. Lo psichiatra forense, forse un poco patriota oltreché romantico, con uno stratagemma fa passare Vincenzo per un idiota incapace di intendere. Arriva la condanna. Un anno e due mesi, un’inezia dopo tanto clamore. Ma non solo. Sulla porta del carcere lo attendono per consegnarli 4.500 £, il frutto di una colletta tra italiani…
La Gioconda torna a Parigi che l’accoglie in trionfo, da allora solo grandissima attenzione e una ribalta perenne per questo quadro capolavoro che qualcuno vuole contenga misteriose indicazioni leonardesche.
Affinché nessuno sia preso ancora da smanie patriottiche e rischi ora ben più di una lieve condanna, ricordo che la Gioconda andò a Parigi con Leonardo il quale da genio anche affarista trattò un lauto compenso per la sua opera. Dunque purtroppo francese per diritto di compravendita e non per ruberie napoleoniche.
Au revoir les gars!