Parte 2
Un sistema scolastico e sanitario allo sbando
Se il diritto alla salute e all’istruzione sono fondamentali per la dignità di un essere umano, l’Egitto fatica a garantirli a tutti i suoi cittadini.
Riguardo alla sanità pubblica il sistema è fortemente sotto finanziato, il che comporta strutture fatiscenti, macchinari obsoleti, e materiale sanitario insufficiente. Inoltre, soprattutto nelle zone rurali, mancano proprio gli ospedali costringendo la gente a percorre lunghe distanze per poter accedere alle cure.
Anche le norme igieniche non sono sempre rigidamente rispettate, alcuni infatti hanno timore a donare il sangue per via delle scarse condizioni sanitarie. Discorso simile per l’istruzione pubblica che deve far fronte a poche strutture, pochi insegnanti (sottopagati) e classi sovraffolate.
È indicativo il fatto che i professori guadagnino di più facendo ripetizioni ai loro stessi studenti che col loro stipendio. In una situazione del genere prosperano le strutture private dove, a chi se lo può permettere, vengono erogati servizi adeguati questo spinge le famiglie a sobbarcarsi di enormi sacrifici pur di far curare o studiare i propri figli in tali strutture.
la strategia economica del governo
A questo punto potrebbe sorgere spontanea una domanda: visti i comunque cospicui introiti di cui gode il governo una parte di essi non potrebbe essere investita per cercare di migliorare la situazione dei servizi pubblici? Una buona idea, certo, ma il presidente Al-Sīsī ne ha avuta una migliore: investire quei soldi in grandi progetti infrastrutturali (alcuni, a onor del vero, di dubbia utilità).
Il più grandioso di tutti questi è senza dubbio il progetto di edificazione di una nuova capitale alla periferia del Cairo. Un progetto faraonico che prevede di erigere una nuova città dove prima c’era solo il deserto in modo da scaricare il peso demografico che per ora grava su Il Cairo, una città enorme da più 10 milioni [3] di abitanti che sta letteralmente soffocando sotto il suo stesso peso.
A prima vista potrebbe sembrare un’iniziativa lodevole volta, come dice lo stesso slogan governativo: “Una nuova capitale per tutti gli egiziani”, a costruire una nuova città che possa sostituire Il Cairo risolvendo il suo sovraffollamento. Peccato però chi i prezzi degli affitti siano già adesso irraggiungibili per lo stipendio medio di un normale egiziano. Questo renderà di fatto la nuova capitale nient’altro che un’oasi dove i più ricchi e le massime carice dello stato potranno rifugiarsi e vivere lontani dalla gran massa del popolo.
Inoltre tra ritardi e costi che lievitano continuamente questo progetto si sta rivelando una immensa voragine di fondi pubblici su cui aleggia pesantemente la presenza delle organizzazioni criminali. Ma nonostante tutte le difficoltà il progetto prosegue grazie soprattutto all’opera instancabile di migliaia di operai (molti giovani o giovanissimi) sotto pagati e privi di tutele che lentamente, con turni massacranti, a volte anche a costo della vita, continuano ad edificare la città sognata da Al-Sīsī. In questo senso, in effetti la capitale veramente di tutti gli egiziani: di una maggioranza che l’ha costruita e di una minoranza che l’abiterà.
Dei giovani soffocati dal sistema
Visto tutto questo essere dei giovani in Egitto non è un’impresa semplice. Oltre a dover far fronte ai sistemi scolastico e sanitario allo sfacelo i giovani devono fare i conti con una corruzione imperante. Una qualsiasi richiesta di permesso per iniziare un’attività lavorativa (in realtà per un qualsiasi tipo di documento) è necessario collocare una bustarella sotto il foglio in modo da evitare che la stessa non sia respinta o che rimanga inevasa, perdendosi tra i meandri del sistema burocratico.
Pertanto qualsiasi iniziativa di carattere economico-sociale non gradita al regime viene soffocata sul nascere limitando di molto la libertà di espressione. Anche sul piano della libertà di informazione la situazione non migliora i media tradizionali sono controllati dal regime e di fatto si limitano a ripetere il copione fornitogli dal governo. I social media su internet, pertanto, rappresentano l’unico veicolo per esprimere il dissenso ma anch’essi sono sottoposti a un filtraggio da parte dell’autorità governativa.
Non va meglio per le libertà politiche infatti, sì, tengono si regolari elezioni ma queste sono pilotate dal governo e ai candidati dell’opposizione viene impedito di partecipare. Vista la situazione non sorprende che per molti giovani l’unica opzione praticabile risulti essere l’emigrazione.
Cosa rimane delle promesse del 2011?
Non molto in realtà. La situazione nel suo insieme sembra essere tornata a com’era prima delle proteste di Piazza Tahrir le forze armate controllano saldamente l’economia e il governo e di fatto rappresentano l’unica autorità decisionale del paese; a cui si aggiungono problemi di siccità sempre più pressanti per via della costruzione di una nuova diga sul Nilo in Etiopia.
Ai giovani rimane come unica opzione per sfuggire a questa logica l’emigrazione. Nel complesso i grandi moti di protesta dell’era delle Primavere arabe sembrano appartenere al passato con i cittadini egiziani che quanto meno accettano passivamente la nuova dittatura stabilitasi. Ma la situazione potrebbe non rimanere tale ancora a lungo. Innanzitutto i partiti di opposizione non sono scomparsi sia i partiti laici che i Fratelli Mussulmani sono ancora attivi sul territorio e, sebbene illegali, godono ancora di un ampio supporto. Inoltre anche tra i semplici cittadini pare crescere il malcontento verso le politiche del governo che non hanno migliorato più di tanto le condizioni di vita della popolazione comune.
Basti pensare che ultimamente stanno aumentando sempre di più i commenti negativi e di protesta sotto ai post governativi mentre ci sono alcuni segnali di malcontento tra i ranghi più bassi dell’esercito. Per ora comunque la situazione rimane stabile e la presa di Al-Sīsī, sul paese che fu dei faraoni, salda. Ma le idee che avevano alimentato il fuoco della protesta rimangono vive sotto la sua cenere e chi può dire che un giorno non tornino di nuovo ad infiammare Piazza Tahrir e con lei tutto l’Egitto.
Bibliografia e sitografia
- [1] Word Bank
- [2] Atlante Geopolitico Treccani edizione 2020
- [3] Agenzia Centrale per la Mobilitazione Pubblica e la Statistica (CAPMAS)