“La sentenza ha in comune con il romanzo la ricerca della verità”
Virdimura, una forza della natura
La conosciamo già anziana, nel 1376 a Palermo, davanti alla commissione di Giudici riunita per decidere se concederle, prima donna della storia, la licenza per curare. Lei che, senza titolo, per tutta la vita ha professato l’arte medica meglio di tanti dottori, ora, anziana, chiede un riconoscimento forse più per le altre donne, per quelle che l’hanno aiutata nel suo lavoro e per quelle che verranno in futuro.
Virdimura è un romanzo intenso, appassionato
Simona lo Iacono ci porta in una Catania viva, multietnica, della quale sentiamo i profumi, in particolare quelli delle spezie usati da Virdimura ma anche gli odori forti della malattia, delle strade infestate dal tifo. La scrittrice ha cercato con cura testi storici e di medicina dell’epoca: il romanzo offre infatti una panoramica molto interessante sui rimedi dell’epoca, sugli studi alchemici, sugli studi medici e le conoscenze delle erbe.
Strega
Nel romanzo emergono tutti i pregiudizi che ci hanno accompagnato per secoli: gli studi erboristici ritenuti stregonerie, le differenze di genere, i pettegolezzi, le credenze popolari.
Ma Virdimura racconta soprattutto la capacità di curare col cuore: non abbandonare mai il malato, comprenderlo, cercare un rimedio adeguato. Virdimura non abbandona nessuno, non si arrende mai, non si risparmia mai.
Simona Lo Iacono
Siciliana, è Magistrato presso il tribunale di Catania. Una grande passione per la scrittura che le ha fatto ottenere diversi premi: Premio Vittorini Opera Prima, Premio Martoglio, Premio Chianti, Premio Città di Erice 2 volte. “Le streghe di Lenzavacche” è stato selezionato fra i finalisti del Premio Strega.
Nonostante i numerosi impegni, molto gentilmente, ci ha dedicato il tempo di un’intervista
In Virdimura si dice “ la medicina non esige bravura, esige coraggio”. Ho pensato subito al Suo lavoro da magistrato a Catania. Anche lì il coraggio è necessario. Lei è una donna coraggiosa. Lo è sempre stata?
Credo che il coraggio non sia una qualità, ma un percorso, un viaggio difficile dentro se stessi, che non nega mai la paura, ma che al contrario la tiene presente e la considera necessaria. Quindi è un obiettivo sempre raggiungibile e sempre rinnovabile, che si modula sulle varie circostanze.
Immagino che il Suo lavoro sia molto impegnativo. Quando riesce variare il tempo per scrivere? Fra l’altro, ha scritto molti romanzi e ha vinto altrettanti premi
Scrivo la mattina prestissimo, prima di cominciare la giornata lavorativa. E durante le ferie, quando le giornate sono un po’ meno oberate di impegni. Ma in verità lo scrittore scrive sempre, soprattutto quando non scrive, perchè elabora silenziosamente, reagisce alla realtà, la decodifica e la trafigge con lo sguardo. La stesura materiale del testo è sempre e solo lo sbocco di un inabissamento, di un precipizio attraversato.
Da dove nasce la passione per la scrittura? Ha un libro del cuore?
La scrittura è nata con me, ero piccolissima quando ho sentito per la prima volta che qualcosa traboccava, che era incontenibile e che per essere osservata andava scritta. Ed è ancora così. La scrittura è il fuoriuscire di un eccesso, di qualcosa di non commensurabile con le sole forze umane. È dunque necessario portarla allo scoperto. E, tuttavia, quando poi irrompe all’esterno, quando si formalizza nella parola, ci si accorge che la scrittura non è più la stessa, si è già trasformata in altro, non racconta più solo di noi ma anche di altri. E non serve solo a guardare, ma anche a guardarsi. Per questo i miei primissimi libri hanno avuto tutti la caratteristica di creature sobbalzanti, amiche, con le quali tessere un profondo colloquio interiore. Non ho quindi un solo libro del cuore ma tantissimi, tanti quanti sono stati i passaggi, i ribaltamenti, le cesoie, le morti.
Magistrato e scrittrice: sembrano distanti ma credo abbiano in comune la voglia di impegnarsi per lasciare un segno, per gli altri. Una sentenza come un romanzo lasciano un segno. (senza sminuire il Suo lavoro da magistrato). Lei ha scelto di raccontare storie forti, che lasciano un segno. Ne “ Le streghe di Lenzavacche” c’è la volontà di difendere la discendenza da un gruppo di “ streghe” (donne abbandonate o in difficoltà, comunque ai margini); ne “ La tigre di Noto” racconta la vita difficile di Anna Maria Ciccone capace d’imporsi nei primi del’ 900, come scienziata in un mondo maschile ma anche di salvare numerosi testi ebraici destinati alla distruzione da parte dei nazisti. Mi sento di ringraziarLa a nome di tante donne per le scelte coraggiose dei Suoi romanzi.
Grazie a lei. In effetti la sentenza ha in comune con il romanzo la ricerca della verità, il lavoro di cesello, di affondo, di sguardo. Entrambe poi esigono la discesa nel buio, nelle motivazioni, nei labirinti e negli abissi. Sotto questo aspetto sono strade feroci, perchè anche il romanzo, come il processo, tende ad approdare a una idea di “giustizia”, intesa come rappresentazione del mondo, come grido e mistero.
Un consiglio o una riflessione, da magistrato e da scrittrice, che vuole dare. Grazie
Posso solo dire che in entrambi i casi, sia quando si giudica che quando si scrive, il “giudizio” è sempre e solo sulle azioni, sui fatti, sulle circostanze, mai sugli uomini. L’uomo non coincide con la sua colpa, perché può elaborarla e può superarla attraverso un viaggio interiore, faticoso ma possibile. Sia la funzione della pena prevista dall’art 27 della Costituzione, che tende alla rieducazione e alla riacquisizione dei valori sociali, sia il percorso narrativo, che tende alla ricerca di un “senso” al mistero di esistere, ci impongono di andare oltre, di misurarci con la possibilità di una redenzione, di un ribaltamento e di una conquista. Sotto questo aspetto, non c’è differenza tra essere un magistrato o una scrittrice, in entrambi i casi ciò che conta è elaborare gli strumenti giusti per restare essere umani.