In alcune aree della Svizzera, il diritto di voto e di eleggibilità delle cittadine incontrò un iter legislativo tortuoso, e procedure di voto che restano, ancora oggi, molto particolari.
Il diritto di voto
Il 29 aprile del 1990 si svolge, in Svizzera, la terza votazione in vent’anni avente oggetto la concessione del diritto di voto nel Canton Appenzello Interno.
La piccola unità amministrativa (è detta “semi-cantone”) darà, però, responso negativo all’estensione del diritto di voto all’altra metà della popolazione. I momenti in cui si propone di allargare il corpo elettorale sono, storicamente, i più “delicati” di una democrazia che viene messa a dura prova.
Nel momento in cui una maggioranza deve estendere i propri diritti alla minoranza, di fatto parificandone potenzialmente lo status, si verifica la tendenza alla divisione in due fazioni.
Da un lato vi sono, tendenzialmente, i “progressisti” (favorevoli all’estensione del diritto di voto) che usando argomentazioni concernenti il rispetto per le minoranze.
Dall’altra, i “conservatori” (contrari) che, invece, sono convinti che l’ingresso di nuove minoranze potrebbe avere effetti dannosi sulla stabilità del sistema polittico perché culturalmente, economicamente o socialmente troppo eterogenee rispetto al corpo votante già esistente.
La particolarità svizzera
In Svizzera, le ragioni di tale rifiuto si strutturarono, invece, in maniera del tutto particolare: i conservatori ritenevano, infatti, non tanto che l’ingresso delle donne nel corpo votante fosse dannoso per il sistema politico, ma che il loro consenso fosse già validamente espresso.
Paradossalmente, a bloccarne l’accesso alle urne era, infatti, una delle più antiche tradizioni democratiche dell’Europa centrale, ossia quella della Landsgemeinde, ancora oggi in uso nei cantoni interni della Svizzera. Questo metodo per esprimere il consenso è configurabile come un voto per alzata di mano, che si ritiene valido se espresso in uno spazio ben delimitato e alla presenza di giudici di pace e di “scrutatori” che hanno il compito di contare le mani alzate per approvare o respingere una mozione.
Il voto oggi
Ad oggi, vi sono ammessi tutti i cittadini e le cittadine che abbiano compiuto la maggiore età e risiedano nel comune che la pratica.
Fino a trent’anni fa, però, a essere ammesso alla votazione era il titolare di un istituto giuridico in vigore nel diritto svizzero, definito capofamiglia che era il “maschio adulto più anziano del nucleo familiare”.
Tale definizione, che escludeva ex se le donne dal processo democratico, assegnava dunque un unico voto a famiglia (o “fuoco”, com’era definito nella tradizione giuridica). Questa norma, a tratti erede delle democrazie greche, aveva l’effetto paradossale di escludere dal voto una nutrita schiera di cittadini il cui unico valore era meramente consultivo.
A farsi carico delle istanze femminili fu, poi, il Tribunale federale che, con sentenza del 26 novembre 1990 impose al Canton Appenzello Interno di concedere il diritto di voto e di eleggibilità a tutte le sue cittadine.
Il governo locale, vincolato alle decisioni della Confederazione, si trovò quindi costretto ad allargare il corpo elettorale, ma decise di mantenere gli stessi metodi, che possono essere visti ancora oggi.