I giovani turkmeni oggi sono costretti a crescere in un paese definito un “regno eremita” dove le libertà personali sono negate e la possibilità di viaggiare o anche solo comunicare con l’estero sistematicamente negata.
In questa situazione i giovani devono barcamenarsi tra corruzione, bassi salari e infrastrutture deficitarie avendo come migliore possibilità quella di fuggire in un altro paese.
Cos’hanno in comune la Corea del Nord e il Turkmenistan?
Non molto in realtà a parte il fatto di trovarsi tutti e due in Asia, la sistematica violazione dei diritti umani da parte dei rispettivi governi e il fatto di essere tutti e due dei “regni eremiti”.
Un’etichetta di cui si possono fregiare ben pochi paesi in giro per il mondo che sta ad indicare la chiusura quasi totale che un determinato paese si autoimpone. Ciò comporta che il transito di persone e informazioni da e verso l’estero sono fortemente limitate e illegali se non autorizzate espressamente dal governo. Ovviamente è irragionevole pensare che una democrazia, in una situazione normale, applichi una tale chiusura e difatti a compiere questa scelta sono una manciata di dittature sparse su tre continenti.
La storia dei turcomanni
I turkmeni o turcomanni sono un popolo di stirpe turca che abita l’attuale territorio del Turkmenistan fin dall’antichità. Nel corso dei secoli è stata terra di conquista per vari imperi tra cui quello persiano, quello di Alessandro Magno e quello di Tamerlano. Nel XVI secolo i turcomanni finirono per la maggior parte nei territori del Khanato uzbeco di Kiva che nel 1873 divenne un protettorato dell’Impero russo. Nel 1917 con lo scoppio della rivoluzione e la deposizione dello zar il Khanato fu travolto dalla guerra civile russa e con la vittoria dei bolscevichi definitivamente abolito nel 1920.
Da quel momento i turkmeni seguirono le vicende dell’Impero sovietico anzi fu grazie a loro che ebbe vita la prima entità statuale dei turcomanni la RSS Turkmena.
L’impero sovietico e i giorni della settimana
Questa repubblica socialista parte dell’Unione sovietica costituirà poi la base della nuova Repubblica del Turkmenistan quando nel ’91 con il crollo dell’URSS i turkmeni otterranno l’indipendenza. Da allora fino al 2006 la nuova repubblica fu governata dal autoproclamato Türkmenbaşy (padre di tutti i turkmeni) Saparmyrat Nyýazow, uno dei despoti più “eclettici” della storia.
È famoso per aver cambiato i nomi dei mesi e dei giorni della settimana (per esempio aprile prese il nome di sua madre), scritto una sua personale “bibbia” il Ruhnama (traducibile con l’libro dell’anima), costruito un palazzo di giaccio in mezzo al deserto e una statua d’oro di sé stesso alta 12 metri. Tutto questo condito dall’instaurazione di un durissimo regime dittatoriale tra i più repressivi isolazionisti al mondo.
Morto Nyýazow la carica di presidente fu assunta da Gurbanguly Berdimuhamedow che stemperò gli aspetti più stravaganti del regime del regime del predecessore.
Lui, più modesto rispetto a Nyýazow, costruì una statua d’oro della sua razza di cane preferita (il pastore turkmeno). Comunque sia mantenne intatto l’apparato repressivo e la politica isolazionista governando col pugno di ferro il paese fino al suo ritiro nel 2022. A quella data venne sostituito da Serdar Berdimuhamedow vero e proprio figlio d’arte, in quanto figlio Gurbanguly, che per ora ha tenuto una politica in linea con quella di suo padre.
Non una buona situazione per essere giovane
Viste le premesse la situazione per i giovani in Turkmenistan non è delle più rosee.
Molte cose che per dei giovani occidentali sono scontate per i loro coetanei turkmeni sono un miraggio.
La libertà di espressione è sostanzialmente inesistente con una forte limitazione all’uso dei social e all’accesso di notizie dall’estero.
I media statali, gli unici ammessi, sono un mero strumento di propaganda del regime e difatti ogni anno il paese “lotta” tenacemente con la Nord Corea per l’ultima posizione nella classifica del Word Press Freedom Index.
I sistemi scolastico e sanitario sono abbandonati al loro stessi con strutture fatiscenti e inadeguate piagate dalla mancanza di risorse e da una corruzione endemica.
Le prospettive lavorative non sono molto migliori con salari bassi e un sistema di promozioni basato su logiche puramente clientelari.
Ciò spinge molte persone, soprattutto i giovani, a cercare condizioni di vita migliori all’estero. Si stima infatti che tra il 2008e il 2018 più di 1,8 milioni [1] di turkmeni emigrati in altri paesi. Un’impresa non facile visti gli stretti controlli alla frontiera e il rischio di essere catturati dalle forze di sicurezza e spediti in un carcere governativo, un luogo in cui sai quando entri ma non sai quando esci.
Il controllo del governo e l’Islam
Il controllo governativo è onnipresente e a ogni minimo accenno di protesta il governo reagisce con ondate di arresti e violenze.
Da segnalare infine che l’islam, a cui aderisce la maggior parte della popolazione, è marginale nella vita quotidiana e con un clero sottomesso alla volontà governativa ma nonostante ciò molti giovani sono scappati per unirsi alle schiere dello Stato Islamico.
Un fatto che ha aumentato la paranoia del governo nei confronti della religione con la conseguenza che le poche libertà di cui si godeva in ambito religioso sono ulteriormente diminuite.
Un’economia basata sulle materie prime
Il Turkmenistan vanta vaste riserve di petrolio e soprattutto gas, ancora largamente inesplorate.
Al netto di ciò comunque l’esportazione di idrocarburi rappresenta la principale fonte di entrate per il paese vista anche la difficoltà di attrarre capitali dall’estero per via di una legislazione estremamente rigida. Riguardo al resto, l’economia turkmena è essenzialmente rurale con metà delle terre coltivabili impiegate nella produzione di cotone.
Il PIL è stimato in circa 81,9 miliardi di dollari [2] con una crescita stimata del 2,3% su base annua [2] tuttavia essendo l’economia basata sulle quotazioni degli idrocarburi un periodo di prezzi bassi tende a compromettere la stabilità economica e a gettare il paese nella crisi, come avvenne nel biennio 2015-2016.
Per un giovane quindi le prospettive di guadagno sono scarse e nonostante un tasso di disoccupazione piuttosto contenuto, 4,1% [3], il livello dei salari, ameno di non essere impiegati nella burocrazia del regime, rimane basso lasciando come scelta più appetibile quella di emigrare. Nel frattempo il governo, invece di investire le proprie rendite nel miglioramento delle infrastrutture nazionali, preferisce impiegare le proprie risorse in donativi alla popolazione e nella costruzione di sontuosi palazzi istituzionali pieni di marmo ma, almeno secondo il modesto parere di chi scrive, dal dubbio gusto estetico.
Cosa attenderci dal futuro?
Non molto in realtà le scelte per i giovani turkmeni rimangono sempre quelle: asservirsi al regime sperando di fare carriera (o più probabilmente guadagnare tramite le bustarelle), tirare a campare sognando un futuro migliore oppure scappare, abbandonare il proprio paese e cercare fortuna all’estero.
Per ora grandi moti di protesta (come quelli visti in Bielorussia) non ci sono stati.
Gli unici moti di protesta apprezzabili sono stati dettati più dalla mancanza di cibo che dalla volontà di ottenere maggiori libertà.
Il regime rimane fermamente al comando e deciso a continuare la sua politica isolazionista che fa del Turkmenistan un “regno eremita”. Forse un giorno le condizioni di vita dei giovani turkmeni miglioreranno, nel frattempo rimangono in attesa di sapere quale sarà la statua d’oro che costruirà il nuovo presidente.
- [1] Atlante Geopolitico Treccani
- [2] International Monetary Fund
- [3] World Bank