Quanto sta accadendo nel mondo dovrebbe ancor di più farci apprezzare i decenni di pace e prosperità dei quali abbiamo goduto, qui in Europa; soprattutto le generazioni cresciute e poi divenute adulte nella seconda metà del secolo scorso hanno potuto apprezzare concretamente la crescita economica, l’affermazione della democrazia, lo sviluppo dei diritti civili e sociali, la sensazione generale di una libertà effettiva che mai si era avvertita, che mai c’era stata prima di allora.
Eventi di portata globale
Ora però nello spazio di soli due anni lo scenario e la prospettiva sono radicalmente mutati. Ma ancora non ce ne siamo pienamente resi conto. La guerra in Ucraina, sul suolo europeo, e la guerra a Gaza, dall’altra parte del mare europeo, il Mediterraneo, stanno affermando la loro portata globale, eventi che potrebbero mutare il corso della storia e dunque delle nostre esistenze.
Così, il futuro si presenta denso di incognite, che realisticamente potremmo sin d’ora definire “rischi”: non solo quelli causati del cambiamento climatico o, su un altro versante, quelli derivanti dai possibili sviluppi – positivi o invece inquietanti – dell’intelligenza artificiale; ma quelli indotti dalla scena politica internazionale, ed è su questi ultimi che si vuole qui porre l’attenzione. Anticipando da subito quale è la questione che si pone innanzi ai cittadini europei alla ormai prossima consultazione elettorale continentale: ovvero come l’Unione Europea vorrà porsi di fronte a questi cambiamenti, e come vorrà affrontarli piuttosto che subirli.
L’URSS non c’è più
L’invasione russa dell’Ucraina ci informa di un permanere nelle stanze del Cremlino di quello spirito imperiale che a suo modo l’Unione Sovietica aveva ereditato dal vecchio regime zarista. E nel definire la fine dell’URSS un evento tragico Putin sostanzialmente rivendica la sovranità russa sulla gran parte dei territori che furono parte dell’impero comunista e che successivamente alla sua caduta si sono costituiti in nazioni autonome.
L’Ucraina potrebbe così essere il primo tassello di una immaginata “riconquista”, e per la verità i suoi prodromi si sono già visti con l’occupazione (2008) delle province georgiane dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud e poi con quella della Crimea (2014). Come reagire di fronte a questo scenario che ci riguarda da vicino, in quanto apertosi sul nostro territorio, sul territorio europeo?
La Cina
Molto lontano da qui, la Cina gioca un ruolo ormai definitivamente planetario con l’obiettivo, dichiarato, di divenire la prima potenza mondiale in ogni settore, militare incluso, entro il 2049, un secolo dopo la rivoluzione maoista. Non si tratta, come taluno crede, di un confronto che riguarda solo o prevalentemente gli Stati Uniti, potenza globale che avverte oggi il confronto con Pechino prevalente a qualsiasi altro;
esso riguarda al contrario anche noi europei (così come altre potenze regionali, dal Giappone all’emergente India, divenuta la nazione più popolosa al mondo) ove solo si pensi all’impatto sui nostri commerci e sulle nostre attività economiche (già da anni pesantemente influenzati dalla aggressiva concorrenza del Dragone) cui mira la Belt & Road Initiative, moderna Via della Seta che si propone di inondare proprio la ricca Europa di produzioni made in China, assai più di quanto non accada già ora e non più solo nei settori tecnologicamente più poveri: al contrario in quelli più avanzati e ricchi di ulteriori possibilità di sviluppo e di conseguenti profitti, come la vicenda delle auto elettriche (e in anni recenti quella degli smartphone) sta dimostrando, con grave rischio per l’industria automobilistica europea (tedesca, francese, italiana).
La pace europea e l’incognita americana
Di nuovo, che fare dopo che per decenni ci eravamo abituati a uno scambio nel quale eravamo noi europei ad esportare in Cina prodotti ad elevato contenuto tecnologico a fronte di importazioni a basso costo di produzioni elementari?
E poi c’è la grande incognita americana. Che accadrà a novembre? Tutti ritengono possibile una vittoria di Trump e, con essa, un conseguente ritrarsi di Washington dal suo tradizionale interesse per il vecchio continente. Le minacce del tycoon sono esplicite e la sua imprevedibilità lasciano aperta qualsiasi possibilità, inclusa la chiusura dell’Alleanza Atlantica, volendo estremizzare.
Ma anche se alla fine – come in Europa a questo punto tutti dovrebbero augurarsi – dovesse prevalere nuovamente Joe Biden il tema di una maggiore autonomia europea dagli Stati Uniti si porrebbe egualmente perché l’attuale presidente dovrà nei prossimi mesi convincere l’elettorato che bloccare Putin in Ucraina e non farsi intimorire dall’Iran nel Medio Oriente sono esigenze vitali che però non possono rimanere a carico del solo contribuente americano, e dunque anch’egli porrà la questione agli europei: “siete disposti a contribuire per la vostra difesa maggiormente di quanto non facciate da sempre?”.
A questa domanda bisognerà rispondere, abbastanza presto. Ne parleremo nel prossimo articolo. Perché questa è un’altra, forse la principale, delle questioni che gli europei dovranno valutare, andando a votare il prossimo giugno.