Vincent Van Gogh è stato, per certi versi, un precursore della pittura europea: la sua idea, che a contare non fosse la capacità di rappresentare un paesaggio o un soggetto ma di far comprendere e veicolare le emozioni avrà, nel ‘900 soprattutto, grande fortuna.
Purtroppo, non per lui, che morirà, a 37 anni, nel 1890, prima di poter cogliere i frutti del suo lavoro.
Vincent il “folle”
Se esiste uno stereotipo dell’artista come “genio folle”, certamente Vincent Van Gogh ne è stata l’incarnazione più evidente. Lo spirito di un’epoca, quella del secondo ottocento europeo, nato nel cuore di quello che, un tempo, fu il centro di un grandioso impero commerciale: l’Impero olandese, ormai spoglio delle glorie di un tempo. La scuola fiamminga, di cui erano espressione pittori come Rembrandt van Rijn o Jan Vermeer, che avevano stupito l’Europa per duecento anni coi loro dipinti a olio così precisi, fedeli ai dettagli. Mani esperte, che dipingevano quadri “più veri del vero”.
Basta vedere un quadro celeberrimo, “La Ragazza col turbante” (noto col nome di “La Ragazza con l’orecchino di perla”) per rendersene conto. Dopo un XVII secolo di gloria, e un XVIII secolo che vedrà progressivamente il declino della Repubblica delle Provincie Unite e la trasformazione in un Regno, la committenza olandese sembrava avere bisogno di gusti nuovi.
Vincent e il “pubblico“
La cosa più interessante è che i quadri di Van Gogh, fatti di “pittura materica” (vernice molto densa e dipinta “in rilievo”), forse più stilizzati e per certi versi perfettamente inseriti nella corrente dell’Impressionismo, questa fortuna non la conosceranno mai. L’autore, affetto da forti e mai totalmente identificati disturbi mentali, non riuscirà mai a incontrare i gusti del pubblico, che riterranno molti suoi quadri buffi, bizzarri, troppo astratti.
Una mente come la sua, certamente di comprensione non immediata, ma fortemente orientata alle esigenze del prossimo (aveva provato a diventare pastore protestante) era più attenta alle emozioni che alla forma.
L’arte di Van Gogh
I suoi quadri che puntavano a suscitare emozioni attraverso cui leggere la realtà, invece che riprodurre fedelmente la realtà stessa, non divennero mai apprezzati dal pubblico durante la sua vita. Proprio questo elemento, questa sua incapacità di mantenersi con le sue sole forze facendo il pittore saranno alla base di un profondo senso di colpa; a mantenerlo fu, infatti, il fratello Theo, mercante d’arte nella capitale olandese.
In modo tristemente paradossale, fu proprio dopo la morte di entrambi i fratelli che il mercato artistico iniziò ad apprezzare quelle tele, definite in modo spregiativo “croste” da più di un critico.
La sua arte, in cui l’emozione trascende quella che è la rappresentazione figurativa, iniziò ad entrare in auge con la diffusione su larga scala della fotografia. Chi poteva permettersela (più o meno gli stessi che potevano pagare le tele di un pittore) aveva perso interesse per le arti figurative esatte, e aveva iniziato a chiedersi che emozioni trasmettesse un quadro, piuttosto che limitarsi a guardare come fossero rappresentati gli elementi figurativi.